Come ti restauro un rostro

Il rostro numero 13. A ds. la porzione di legno incastrata
Proprio in questo momento, con l’appoggio della nave oceanografica Hercules, i subacquei altofondalisti della GUE – Global Underwater Explorer – sono impegnati nei fondali della costa nord occidentale dell’isola di Levanzo nella ricerca di quattro rostri appartenenti alle navi che parteciparono alla battaglia delle Egadi tra Romani e Cartaginesi (241 a.C.). Questi importanti reperti erano già stati individuati durante una precedente spedizione. La notizia è che uno dei quattro è stato già messo in sicurezza ed è pronto per essere issato a bordo. Il ritrovamento è frutto della collaborazione tra la Soprintendenza del Mare, struttura dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, e la statunitense Rpm Nautical Foundation. Dei 19 rostri già individuati e recuperati, il
numero 13, “pescato” a 85 metri di profondità, è ora nelle mani dei restauratori del dell’Istituto Superiore per  la Conservazione ed il Restauro del MIBAC, che affronteranno il suo trattamento sotto la direzione della funzionaria archeologa subacquea Barbara Davidde. Apparteneva ad una nave sicuramente cartaginese perché riporta un’iscrizione in punico ancora da decifrare. I restauratori hanno già effettuato una prima pulitura del reperto che era coperto da uno spesso strato di concrezioni marine. Esaminandole, i biologi hanno già individuato al loro interno circa cinquanta specie diverse di organismi bentonici.  Il rostro pesa, come gli altri già
recuperati, intorno ai 170/180 chili. Fu realizzato con una lega, detta ternaria, fusa con una prevalenza di rame ed addizionata con stagno e piombo. Ha ha uno spessore da 1 a 5 centimetri. Delle tre lame del tridente quella superiore destra è stata rilavorata e riaffilata per riparare un danno.
Barbara Davidde, funzionario archeologo dell’ISCR
L’importante reperto, come detto, è ancora in una fase preliminare di pulitura; si sta infatti rimuovendo lo strato esterno di concrezioni prima di arrivare a una definitiva resa finale con lavaggi intensivi in acqua distillata. Il metallo immerso in acqua salmastra, infatti, nel corso dei secoli assorbe molti sali marini che interagiscono con il rame della lega producendo cloruri di rame che rappresentano una delle forme più pericolose di corrosione attiva.  All’interno del rostro, sul laterale destro, si è conservata, in adesione mediante spalmo di resina di natura non nota, una porzione ampia del legno della cinta terminale della barca, anch’esso ricoperto delle stesse patine marine del bronzo. Poiché legno e metallo non possono essere restaurati assieme, i restauratori tenteranno di rimuovere questa porzione di legno e ricollocarla a fine trattamento.
Restauratore Giorgio Dercoli mostra elmo Montefortino
Considerato che il lavaggio richiede almeno cinque o sei mesi, i tecnici prevedono di finire tutto il lavoro entro un anno.  Per quanto riguarda l’elmo, altro reperto consegnato all’ISCR, non sono ancora iniziati interventi specifici conservativi. È definito elmo di Montefortino, una tipologia estremamente rara di copricapo protettivo bronzeo. Recava sulla sua sommità un leone o una pelle di leone mentre la sua rottura, con le parti mancanti, è dovuta alla deposizione nei fondali. È diispirazione celtica, introdotto alla fine del V secolo e fu chiamato così perché rinvenuto per la prima volta in una necropoli in provincia di Ancona. La sua forma allungata garantiva maggiore resistenza ai colpi dall’alto. Nella parte più elevata è collocato un apex, sul quale siinserivano delle piume, con lo scopo di far sembrare più imponenti i soldati all’occhio del nemico.
Per misurare lo spessore della patina dei reperti, che ha un comportamento elettromagnetico completamente diverso dal metallo, saranno usati strumenti molto sofisticati che generano correnti indotte. Questi provengono dalle tecnologie aeronautiche o dall’industria dell’auto. Verrà anche misurata la velocità di corrosione(tutti i metalli degradano)con una tecnica elaborata congiuntamente all’Università “La Sapienza” di Roma. La strumentazione impiegata permette di indicare ai restauratori a che punto fermare la pulitura e come dosare l’applicazione dello strato di protezione finale in vista della musealizzazione finale dei reperti.