Quanti porti ha Roma sul Tevere?



Sono otto, e con i tre extracittadini undici. Infatti otto sono quelli nel territorio della città; ma  per esattezza dovremmo aggiungere il porto di Ostia, il porto di Traiano (Ostia antica) ed il porto di Pagliano (Corbara, nel territorio di Orvieto, ove il fiume Paglia si congiunge al Tevere). Ma di questi converrà parlarne in un’altra occasione. Rammentiamo quindi i porti maggiori presenti a Roma, elencandoli in ordine di grandezza e di importanza storico – commerciale:
Ripa grande a Testaccio, di Ripetta, Tiberino, Fluviale (Emporium), Leonino, Arsenale Pontificio 
(Porta Portese), Moderno dell’Arsenale, Scalo De Pinedo 
In alto: Il Tevere al Porto Leonino con l’Ospedale di Santo Spirito in Sassia              

Il porto maggiore di Roma: Ripa Grande a Testaccio
Insieme di Ripa Grande
Movimenti al Porto
A partire dal II secolo a.C. l’area di Testaccio ai piedi dell’Aventino fu scelta per la costruzione di un nuovo porto fluviale sul Tevere. Il porto di Ripa Grande era il porto fluviale di Roma, appena a valle dell’antico Ponte Sublicio, dove venivano movimentate le merci che risalivano e discendevano il Tevere verso l’approdo di Fiumicino. La costruzione dei muraglioni ne ha cancellato l’esistenza e le funzioni, mantenendone traccia solo nella toponomastica. Il nuovo attracco era costituto da un’area recintata e lastricata, con ormeggi per le barche; per gestire le variazioni di livello dovute alle piene del fiume, lo scalo venne nel tempo ingrandito e strutturato con banchine pavimentate a grandi lastre di travertino, con pietre forate per l’ormeggio e usate come piazzale di scarico nei periodi di piena. Nel I sec. d.C. alle spalle venne realizzato un edificio su tre piani costituito da una doppia serie di grandi ambienti ricoperti a volta e allineati secondo l’asse del fiume, illuminati da lucernari verso il Tevere e da larghe porte carraie sul lato opposto. L’edificio venne in seguito ampliato con una nuova struttura formata da una serie di camere chiuse da un grande muraglione inclinato e altri ambienti interni illuminati dai lucernari.  Alle spalle del porto venne costruito, nel II sec. a.C., un gigantesco edificio di servizio, la Porticus Aemilia, lungo 487 m e largo 70 m, formato da 52 navate aperte verso il fiume. Nel tempo alle spalle sorse il quartiere commerciale di Roma , con grandi magazzini, servizi e la discarica del Monte Testaccio.
Il porto di Ripetta

Porto di Ripetta
Il porto Clementino, detto comunemente di Ripetta per distinguerlo da quello maggiore di Ripa Grande, fu sistemato da papa Clemente XI, donde il nome. In effetti, in una delle numerose posterule delle Mura Aureliane (che allora correvano ancora dall’antico ponte Aureliano fino all’altezza di porta Flaminia) si era venuto a formare, già dal XIV secolo, un piccolo, rudimentale porticciolo abusivo, pressappoco all’altezza della chiesa di S.Rocco, per lo scarico di legname, carbone e vino. Nel 1704 papa Albani, Clemente XI, approvò la proposta del suo presidente delle strade per la creazione di un sistema di banchine, scalinate e piazzale superiore, un progetto, cioè, che prevedeva la sicurezza e la facilità di approdo di un porto unito alla bellezza ed alla gradevolezza di un monumento. La realizzazione venne affidata all’architetto Alessandro Specchi, che si avvalse della collaborazione di Carlo Fontana e ...di un terremoto, che avendo fatto crollare un’arcata del Colosseo, agevolò la realizzazione dell’impresa, fornendo un materiale pregiato come il travertino. La costruzione era caratterizzata da due ampie cordonate curve che, dalle banchine, salivano al livello stradale (dove si affacciavano la chiesa di S.Gregorio dei Muratori e l’edificio della Dogana, detta "la Doganella") e da un emiciclo al centro del quale vi era una graziosa fontana a scogliera sormontata da una stella (stemma araldico della famiglia papale Albani), utile soprattutto per abbeverare gli animali da soma che qui arrivavano numerosi per le operazioni di trasporto delle mercanzie; in seguito le venne aggiunta una lanterna in ferro battuto per facilitare l’approdo notturno delle barche. Ai lati dell’emiciclo furono collocate due colonne sulle quali, successivamente, vennero indicati i vari livelli delle alluvioni avvenute dal 1495 al 1750. L’opera venne inaugurata il 16 agosto 1704, per la solennità di S.Rocco ed in occasione delle feste fluviali che annualmente si svolgevano in quel giorno. Numerosi i termini con i quali il porto fu identificato negli anni: "porto della Legna", "porto delle Posterule" o "porto degli Acquaroli", tutti facilmente ricollegabili all’origine del toponimo. Il porto era riservato al traffico fluviale proveniente dall’alto corso del Tevere, in alternativa a quello di Ripa Grande dove faceva scalo il traffico marittimo. Purtroppo il porto non fu tenuto mai in grande considerazione, tanto che cadde ben presto in un deplorevole stato di abbandono: i lavori pesanti che vi si svolgevano e le periodiche alluvioni, unite ad una scarsa manutenzione, lo ridussero in uno stato di notevole decadenza, parzialmente invaso dal terriccio e con i gradini sbrecciati. Non c’è da stupirsi, quindi, se, con la costruzione dei muraglioni, si accettò con indifferenza il sacrificio di questa grande opera architettonica, la quale venne in parte distrutta ed in parte sommersa. Oggi, di questo grande pezzo di Roma sparita rimangono solamente, collocate in piazza del porto di Ripetta, l’antica fontana detta "Clementina" o "dei Navigatori" (nella foto 1) che ornava l’emiciclo e le due colonne (nella foto 2 e 3) con i segni che, evidenziati da "dolci manine", indicano l’altezza raggiunta dalle alluvioni del Tevere, con tanto di data e nome del pontefice regnante.
Il porto Tiberino
Il "portus Tiberinus", il porto dell’antica Roma, risulta dovesse esistere nella zona tra i templi del Foro Olitorio ed il Tempio di Portunus;  in pratica era situato, e ne occupava l’area,  dove oggi sorge il palazzo dell’Anagrafe, dinanzi alla punta meridionale dell’Isola Tiberina. La costruzione del porto, dei santuari circostanti di Fortuna et Mater Matuta e probabilmente anche "di Portunus", la divinità tutelare del porto, devono attribuirsi a Servio Tullio, come testimoniano alcuni scavi avvenuti sotto i primi due santuari, indicanti la metà del VI secolo a.C. Importanti lavori di sistemazione vi furono appaltati nel 179 a.C. dal censore M.Fulvio Nobiliore ma il porto venne progressivamente declassato ed abbandonato dopo la realizzazione del nuovo porto dell’Emporium. I lavori per la costruzione del palazzo dell’Anagrafe, negli anni 1936-7, portarono alla scoperta di numerosi "horrea" (cioè magazzini), costruiti da Traiano interamente in laterizio e travertino, il quale riutilizzò così l’area dove era situato l’antico "porto Tiberino" oramai in disuso, soprattutto dopo le due disastrose inondazioni del 98 e del 105 d.C.
Il porto Fluviale, l’Emporium
Dall’inizio del II secolo a.C. l’impetuoso sviluppo economico e demografico aveva reso del tutto insufficiente il vecchio porto fluviale del Foro Boario, che non poteva essere ampliato per via della vicinanza ai colli. Per questo nel 193 a.C. gli edili (addetti alla cura urbis) Marco Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo decisero di affrontare il problema ricostruendo un nuovo porto in una zona libera al confine della città a sud dell’Aventino. In quell’occasione fu edificata anche la Porticus Emilia. Nel 174 a.C. l’Emporium venne lastricato in pietra e fu suddiviso da barriere con scalinate che scendevano al Tevere. Qui era il punto d’approdo delle merci e delle materie prime (prioritariamente marmi, grano, vino, olio) che, arrivate via mare dal porto di Ostia, risalivano il Tevere su chiatte rimorchiate dai bufali (alaggio). Nei secoli, i cocci di anfore, che erano i contenitori dell’epoca per la movimentazione degli alimenti liquidi, furono accumulati a montagnola, componendo il Monte dei Cocci, ancora esistente: da esso deriva il nome antico di Mons Testaceum, il "Monte dei cocci", appunto. Il numero delle anfore accatastate è stimato attorno ai 25 milioni. All’epoca di Traiano le strutture furono rifatte in opera mista, mentre la pianura del Testaccio si andò via via riempiendo di magazzini, in particolare quelli annonari, con un’impennata quando si iniziarono le distribuzioni gratuite di grano e altri generi alimentari alla popolazione cittadina, a partire dell’epoca dei Gracchi (Horrea Sempronia, Galbana, Lolliana, Seiana, Aniciana). Il porto fu scavato nel 1868-1870 durante i lavori di riarginatura e di nuovo nel 1952. Oggi restano alcuni tratti visibili incassati nel muraglione del Lungotevere Testaccio: una banchina lunga circa 500 metri e profonda 90 con gradinate e rampe verso il fiume, con blocchi di travertino sporgenti per fori dove ormeggiare le navi, simile in tutto a quella del porto romano di Aquileia (che però è meglio conservato). Costruendo il quartiere Testaccio moderno sono riapparsi vari resti di magazzini, tra i quali anche la tomba del console Servio Sulpicio Galba, uno dei più antichi sepolcri individuali pervenutici.
Il porto Leonino
Sorgeva accanto all’attuale ponte Principe Amedeo di Savoia, da cui si accede al Vaticano;  Prese il nome da papa Leone XII che nel 1827 fece costruire questo piccolo approdo adibito allo scarico delle merci destinate al Vaticano, a definitiva sostituzione dell’antico "Porto dei Travertini", cosiddetto perché divenne punto fondamentale per i travertini scaricati sulle sue banchine ed utilizzati per la costruzione della basilica di S.Pietro. Il Porto Leonino era situato sulla riva destra del fiume, all’altezza di via della Lungara, quasi dinanzi a palazzo Salviati, con due rampe convergenti che discendono fino alla sottostante banchina. La costruzione del porto comportò la rimozione della cosiddetta Fontana dell’Acqua Lancisiana, un’acqua proveniente da una fonte sul Gianicolo e che fu scoperta nel XVI secolo dal medico Alessandro Trajano Petroni. Le proprietà terapeutiche di quest’acqua furono molto apprezzate dal medico di Papa Clemente XI, Giovanni Maria Lancisi, il quale, rilevatane l’importanza e l’utilità, negli anni tra il 1714 ed il 1719 la fece incanalare e condurre in parte all’interno dell’Ospedale S.Spirito per uso dei degenti ed in parte all’esterno dell’edificio ad uso della popolazione.
Il porto dell’Arsenale (Pontificio)
Subito fuori porta Portese papa Clemente XI fece costruire il nuovo arsenale pontificio, destinato alla manutenzione del naviglio fluviale, ma anche del naviglio commerciale papale. La localizzazione subito fuori della cinta daziaria era dovuta appunto alla scelta di ridurre la pressione fiscale su materiali utilizzati a questo scopo. La costruzione, di cui non si conosce l’architetto, fu concepita in analogia all’arsenale di Civitavecchia, affidato a Gianlorenzo Bernini e portata a termine da Carlo Fontana cinquant’anni prima, e realizzata tra il 1714 e il 1715, su scala ridotta rispetto all’originale, dovendo assolvere a funzioni più limitate. La struttura continuò a funzionare fino alla fine del XIX secolo quando, con la costruzione dei muraglioni sul Tevere, tutte le attività legate al fiume furono abbandonate. Del porto resta traccia per la presenza di  due rampe che scendono al fiume ubicate dopo le banchine del San Michele e prima del moderno ponte Sublicio. A queste attività era legato un tessuto di servizi, come gli uffici e la caserma della dogana, e di produzioni artigianali specializzate (corde, carpenteria ecc.) delle quali anche oggi se ne rileva la presenza.
Van Wittel, XVIII sec.
Il porto moderno dell’Arsenale
Sorge sulla riva opposta al vecchio Gasometro.
Il porto (Scalo) de Pinedo
Sul lungotevere Arnaldo da Brescia, tra ponte Pietro Nenni e ponte Giacomo Matteotti, è situato lo Scalo de Pinedo, al quale si accede tramite due rampe ed una gradinata. Fu realizzato alla fine dell’Ottocento (in sostituzione del porto di Ripetta distrutto alcuni anni prima per la costruzioni dei muraglioni di argine del Tevere) come approdo per gli stabilimenti artigianali esistenti sulla via Flaminia (le concerie insediate a villa Poniatowski) e quelli industriali, come il gazometro, previsto sulla riva del Tevere fuori porta del Popolo. Attualmente viene utilizzato per manifestazioni pubbliche e private di vario genere, tutte molto consone e comprese della particolarità e memoria del sito.
Gian Carlo Pavia