Acquedotto Traiano: una pendenza di circa tre metri per 57 chilometri con una portata di 1400 litri al secondo
Il nostro “geometra” scrittore nella calza della Befana ha messo una vera chicca, il racconto di un acquedotto straordinario lungo 57 chilometri. Passato alla storia come Aqua Traiana venne costruito dall’imperatore Traiano nel 109, con parziale riutilizzazione del condotto dell’Aqua
Alsietina. Raccoglieva le acque di sorgenti
sui monti Sabatini, presso il lago di Bracciano (lacus
Sabatinus). La lunghezza complessiva era di circa 57 km e la
portata giornaliera di circa 2.848 quinarie, pari a poco meno di
118.200 m³. Raggiungeva la città con un percorso in gran parte sotterraneo lungo le
vie Clodia e Trionfale e poi su arcate lungo la via
Aurelia, entrando a Roma sul colle Gianicolo, sulla riva destra del
fiume Tevere. Tagliato
una prima volta durante l’assedio di Roma da parte degli Ostrogoti di Vitige, nel 537, fu restaurato
da Belisario. Per i danni ancora subiti dai Longobardi, fu di nuovo
restaurato a più riprese tra l’VIII e il IX secolo, e fu infine
ricostruito come “Acqua Paola” nel XVII
secolo. Il Caput Aquae (fonte) dell’acquedotto di Traiano è
venuto alla luce quasi per caso in una zona sul Fosso della Fiora al confine
tra il comune di
Manziana e di Bracciano: un ninfeo con straordinarie volte colorate in blu egizio. Si tratta della scoperta straordinaria della prima sorgente del percorso attorno al lago di Bracciano dell’acquedotto inaugurato nel 109 d.C. per servire la zona urbana di Trastevere A fare la scoperta, due
documentaristi inglesi, Michael e
Ted O’Neill, impegnati in una ricerca sugli acquedotti romani, che si sono
imbattuti nei resti di un ninfeo con straordinarie volte colorate in blu
egizio. E l’importanza del ritrovamento è confermata dall’archeologo Lorenzo
Quilici, professore di topografia antica all’università di Bologna, che
definisce il ninfeo «stupefacente». Coperto da una grotta artificiale che
accoglieva una cappella della Madonna, risistemata agli inizi del Settecento
dai principi Odescalchi – anticipa Quilici che illustrò la scoperta insieme con
Michael e Ted O’Neill in una conferenza stampa a Roma – è venuto fuori un
monumento «che si è rivelato un ninfeo, costruito all’origine delle prime
sorgenti dell’acquedotto», un monumento straordinario, dice il professore, «che
possiamo paragonare al Canopo di Villa Adriana o al Ninfeo di Egeria nel Triopo
di Erode Attico sull’Appia Antica. Si tratta, racconta Quilici,
«di una cappella centrale dedicata al dio della sorgente o alle ninfe, che si
approfondisce ai lati in due bacini coperti da straordinarie volte ancora
colorate in blu egizio che, alla base, con un ardito sistema di blocchi messi a
filtro, accoglievano l’acqua in due laghetti, dai quali partiva il canale
dell’acquedotto». Manziana e di Bracciano: un ninfeo con straordinarie volte colorate in blu egizio. Si tratta della scoperta straordinaria della prima sorgente del percorso attorno al lago di Bracciano dell’acquedotto inaugurato nel 109 d.C. per servire la zona urbana di Trastevere A fare la scoperta, due
Fontana dell'Acqua Paola al Gianicolo |
Le strutture, alte fino a 8-9 metri, sono realizzate, spiega
il professore, «in opera laterizia e in opera reticolata assai raffinata e gli
ambienti, con le volte a botte e a crociera, i pozzi, i cunicoli di captazione
che vi si convergono, il canale che principia l’acquedotto sotterraneo, sono
oggi tutti percorribili perchè privati dell’acqua». Entrarvi
al momento fu un’avventura, raccontano Michael e Ted O’Neill, padre e figlio,
documentaristi per la Meon Htdtv Productions Ltd, perché il luogo, che si trova
all’interno di una piccola proprietà dove si allevano maiali, è incolto e
soprattutto coperto da un gigantesco albero di fico che con le sue radici
scende fino al più profondo livello del ninfeo, minandone tra l’altro la
struttura. Fatica ricompensata però, secondo Quilici, «dall’emozione di
accedere a un monumento rimasto segreto per secoli e straordinario nella sua
architettura». L’acquedotto di Traiano è stato il penultimo in ordine di
tempo degli undici grandi acquedotti che rifornivano Roma antica; inaugurato
nel 109 d.C, è rimasto praticamente sempre in funzione. All’inizio del Seicento
Paolo V lo fece restaurare. L’acquedotto papale prendeva però l’acqua dal lago
di Bracciano, come fa ancora all’incirca il condotto attuale, mentre
l’acquedotto romano captava lungo il suo percorso le acque delle sorgenti che
alimentavano il bacino.
Stampa del 1800 della Porta sull’Aurelia antica |
Per celebrare la sua opera, Traiano fece coniare anche
delle monete sulle quali è raffigurata l’immagine semisdraiata di un dio
fluviale sotto un grande arco affiancato da colonne. Per secoli si è creduto
che l’immagine rimandasse alla mostra d’acqua che l’imperatore avrebbe
costruito sul Gianicolo, anticipando di 1500 anni il fontanone di Paolo V. Ma
forse – è l’ipotesi suggestiva degli O’Neill – quello raffigurato sulla moneta
è proprio il ninfeo-grotta di Bracciano, che ora, è la speranza di Ted e
Michael che per questo si sono rivolti alla soprintendenza, dovrebbe essere
studiato e restaurato. La portata giornaliera dell'acquedotto era di sole
392 quinarie (pari a 188 litri al
secondo, cioè 16.228 m³ al giorno): di queste, 254 erano riservate all’uso dell’imperatore e le restanti 138 venivano concesse in uso ai privati. Il
percorso, interamente sotterraneo tranne un tratto di circa 500 metri, era
lungo quasi 33 km., di cui si conosce con una certa approssimazione solo
il tratto iniziale di circa 200 m., corrispondente al cunicolo sotterraneo
da cui veniva presa l'acqua dal lago. Entrava in Roma nei pressi
dell'attuale Porta San Pancrazio,attraverso
una porta celebrativa ancor oggi esistente; per poi scendere verso Trastevere e raggiungere la zona di Piazza San Cosimato dove
si trovava la “naumachia”. A
seguito di un consistente intervento di restauro, un nuovo condotto fu
realizzato da Traiano nel 109 d.C., solo
parzialmente coincidente con quello originario. Risulta
che nel III secolo d.C. la
naumachia fosse ancora funzionante, ma venne abbandonata poco dopo anche a
causa di un rilevante abbassamento del livello del lago di
Martignano (circa 30 m), dovuto comunque
a cause naturali, che lasciò in secco il canale di alimentazione. Fu in parte
ripristinato da papa Paolo V che,
nel 1612, ne utilizzò la struttura e le acque (il livello del lago era di
nuovo cresciuto) per la costruzione dell’Acqua
Paola. L'acquedotto,
sull'antico tracciato dall’Aqua Traiana, fu ricostruito su un progetto del 1605 per volere di papa
Paolo V, ad
opera di Giovanni Fontana, Carlo Maderno ed altri, per l'approvvigionamento idrico
del Gianicolo e della sottostante area di Trastevere, ma in realtà il pontefice mirava soprattutto a
poter disporre di una cospicua riserva d'acqua per i giardini della sua
residenza vaticana. Per ridurre i tempi di costruzione, l’intero percorso di
circa 64,4 km fu suddiviso in sezioni più piccole, affidate ciascuna
ad un diverso architetto, che lavoravano in contemporanea. Iniziati i lavori
nel 1608, nel 1610 l’acqua raggiunse la sommità del Gianicolo. Il test del flusso fu un disastro: la pressione
era talmente forte che ruppe i “rubinetti” e inondò il Gianicolo, producendo diversi
danni. Ripristinata la normalità, l’abbondanza d’acqua fu utilizzata anche come
forza motrice per l’alimentazione di alcuni mulini. L’acquedotto termina con la
Fontana dell'Acqua Paola sul Gianicolo, realizzata nel 1611 poco distante dall'attuale Porta San Pancrazio. Così scarsi erano il valore e la qualità che il
popolo riconosceva all’acqua Paola, da essere diventata proverbiale: di una
medicina di nessun valore o effetto, ad esempio, si dice ancora che
cura come l’Acqua Paola.
Giancarlo Pavia