Il bagnetto in una pozza d’acqua di una cincia bigia. Riflessioni di un fotografo naturalista


Carlo Ravenna dopo il corallo rosso è tornato a farci visita presentando la straordinaria fotografia di una cincia bigia che si fa il bagnetto in una pozza d’acqua. Così ha descritto sommariamente le elucubrazioni tecnico-fotografiche ed emozionali che gli sono passate nella testa nel momento in cui l’ha centrata con il suo obiettivo nell’ambiente preferenziale di questo piccolo uccello: il bosco. Le sue riflessioni sono anche preziosi consigli per chi voglia ambire a uno “scatto” simile…
Il bosco è un territorio pieno di fascino e di mistero, un caos ordinatamente disordinato di tronchi,
cavità lignee, ramaglie e cascate di foglie, dove la vita anche se nascosta è sempre presente, ma anche
Ritratto di una cincia bigia
un ambiente complicato nel momento in cui si voglia tornare a casa con buone immagini delle creature che lo abitano, da realizzarsi con un teleobiettivo puntato su porzioni di vegetazioni dove spesso la luce fatica ad arrivare. Il rischio del mosso è sempre in agguato perché l’esposimetro della macchina ci avvisa subito che i tempi da scegliere potrebbero non essere sufficientemente veloci a scongiurare questa insidia. La cincia bigia non è certamente la più colorata, ma rispetto ad esempio alla cinciallegra e alla cinciarella, appartenenti alla stessa famiglia (Paridae), è decisamente meno comune. Nascosto in un capanno, di fronte ad una pozzanghera fresca e limpida, appoggio il lungo supertele alla finestrella stretta riuscendo così ad evitare l’uso di un treppiedi), protetta a sua volta da una rete mimetica. L’attesa può durare molto, può naturalmente essere vana, ma se tutto fila liscio è ripagata dall’emozione della calata in acqua dell’uccellino che schizza dappertutto creando immagini spettacolari e dinamiche. La raffica di scatti è d’obbligo qualcuna tra le decine e decine di foto realizzate in pochi secondi finirà forse nel mio archivio naturalistico. Poter eliminare è un grande vantaggio del digitale rispetto all’analogico. Cosa buttare? Certamente le foto mal esposte, sfocate, mosse e quelle in cui la luce e il taglio del soggetto non convincono.
Cinciarella
Poi rimarcherei una puntualizzazione che ritengo molto importante: nelle mie selezioni, scelgo soltanto fotografie in cui l’occhio del soggetto sia ben nitidamente a fuoco ed esente da mosso o micromosso. Le ali e altre parti del corpo in rapidi movimenti possono anche non esser ferme ma non è detto che ciò penalizzi una fotografia, anzi a volte ne enfatizza l’aspetto creativo. L’importante è che, lo ribadisco, ci sia qualità generale dello scatto sull’occhio, perché è sempre su di esso che l’osservatore andrà immediatamente a posare il suo sguardo. Oggi la tecnologia ci viene incontro su un aspetto: la stabilizzazione dell’obiettivo. Usare un pesante e lungo 500 millimetri stabilizzato dell’ultima generazione significa per un esperto fotografo, oggi, riuscire a riportare a casa con successo dei preziosi scatti a mano libera un tempo impensabili senza un treppiedi. Se il nostro soggetto è fermo nella subdola penombra, l’uso della stabilizzazione ci consente di poter anche “allungare” in una certa misura i tempi e di conseguenza lavorare a diaframmi non eccessivamente aperti (l’ideale è restare in un range di diaframmi medi) e al contempo non alzare troppo gli ISO della fotocamera. Su quest’ultimo aspetto, è importante aggiungere che oggi nelle fotocamere digitali non particolarmente performanti, alzare troppo gli ISO per recuperare luce, significa sporcare i nostri scatti con un indesiderato pulviscolo (il cosiddetto rumore) che si intravvede (ingrandendo) soprattutto sulle parti in ombra del fotogramma, difficilmente attenuabile anche in post produzione. Inutile aggiungere che gli obiettivi più luminosi aiutano il fotografo nel suo
Cinciallegra
lavoro, anche se pretendere una ottimale luminosità si traduce sempre in un aumento di costi elevato o addirittura esorbitante, ma anche in un aumento della mole e del peso dell’ottica, studiata e realizzata per far passare una maggior quantità di luce possibile attraverso di essa a partire dalla lente frontale esterna, sino al sensore della fotocamera. È ovvio che un tele professionale, oltre ad esser luminoso di regola deve offrire un autofocus veloce e preciso, grande nitidezza e ricchezza di dettagli, brillantezza dei colori, qualità dello sfocato. La luce migliore, quando c’è il sole, non è di regola quella delle ore centrali della giornata, essendo essa meno calda e più dura. Inoltre i raggi solari piovono sul soggetto troppo dall’alto generando ombre indesiderate. Un classico esempio lo si può notare in un uccello in volo, quando la luce radente dell’alba e del tramonto, oltre ad essere più bella, riesce a illuminare le porzioni sottostanti dell’ala, mentre quando il sole è alto nel cielo appaiono molto scure.                                                           
 Testo e foto di Carlo Ravenna