Particelle raccolte in mare: Il pranzo è servito… |
Il nostro magazine cresce…, oggi una giovane cronista, Elena Bittante appassionata di
mare e di natura, ci ha proposto l’aggiornamento, con i dati di una recente
ricerca dell’Istituto per
l’Ambiente Marino Costiero del Consiglio
Nazionale delle Ricerche, di un tema che abbiamo già trattato nel maggio 2014.
Lo ricordate? Nel libro Come è profondo il mare
Nicolò Carnimeo ci parlò dei 290 miliardi di coriandoli di plastica presenti
nel Mare Nostrum!
Le
sfumature di smeraldo e zaffiro del Mediterraneo sono come un’incantevole
sirena che canta al ritmo delle sue onde e trae facilmente in inganno
l’osservatore. Siamo preda di un incantesimo: siamo ammaliati dalla sua
bellezza
inconsapevoli del veleno che affiora in superficie e rischia di contaminare
l’intera catena alimentare. Una visione drastica che mira a sensibilizzare e
divulgare informazione, perché nessuno di noi desidera trasformare il Mare Nostrum dalla culla alla tomba della nostra civiltà.
A destra nella foto CNR Un momento del campionamento in mare
aperto, con le maglie pronte a raccogliere le particelle di plastica.
Il
Mediterraneo è un mare inquinato, in particolare l’area nord occidentale tra la
Toscana e la Corsica. Nonostante tutte le sfumature del blu, le sue acque
contengono un’elevatissima concentrazione di microplastiche: il 92% sono frammenti di meno di 5 millimetri, quasi
impossibili da percepire a occhio nudo. Una rivelazione scomoda nell’immaginario
comune dove spaziano spiagge candide e acque cristalline, un dipinto ideale che
si sgretola in un’amara constatazione.
A rivelare lo stato del Mediterraneo, comprese
le coste della nostra penisola, è uno studio condotto da un gruppo di
ricercatori del Cnr. L’indagine è stata pubblicata dal team di biologi su
Scientific Reports e rivela dei dati allarmanti per quanto riguarda i mari
italiani classificandoli tra i più inquinati al mondo. Il record è stato raggiunto
dalle acque del Tirreno settentrionale dove si è calcolata una quantità di 10
chili per chilometro quadrato. Valori impensabili che superano la
concentrazione delle microplastiche della tristemente nota “isola di plastica”
che galleggia indisturbata nel Pacifico del nord. Secondo l’analisi del gruppo di scienziati le
cause sono attribuibili principalmente ai rifiuti della nostra vita quotidiana,
per la maggior parte costituiti da packaging non riciclabile. Come spiega uno dei coordinatori dell’equipe, Stefano Aliani:
“Si
tratta di sacchetti e bottiglie che vengono degradati dalla luce. Nel giro di
anni o perfino secoli, a seconda del tipo di plastica e dell’ambiente in cui
finiscono, questi rifiuti si riducono in poltiglia”. Nella foto CNR a destra:
In questa immagine si nota come le microplastiche siano presenti in maniera corposa, di varie dimensioni e polimeri.
In questa immagine si nota come le microplastiche siano presenti in maniera corposa, di varie dimensioni e polimeri.
Lo studio è stato possibile
grazie all’Urania, una nave da ricerca con al traino una rete speciale per la
raccolta di campioni, prelevati in 74 punti dell’Adriatico e del Tirreno. In
quest’ultimo è stata calcolata una media di 811 grammi di microplastiche per
chilometro quadrato. Un dato che crea incredulità e allarmismo. Come può un mare così
piccolo racchiudere una concentrazione di microplastiche maggiore a quella
dell’immenso oceano? La risposta dei ricercatori è esaustiva e facilmente
comprensibile: “La gravità della situazione del Mediterraneo non ci stupisce –
dice Aliani – è un mare sostanzialmente
chiuso, in cui una particella ha un tempo di permanenza di circa mille anni.
Teoricamente, cioè, impiega tutto quel tempo per attraversare la stretta
imboccatura di Gibilterra”.
Ricercatori intenti a suddividere i vari campioni raccolti. |
Il riciclo idrico del Mediterraneo è molto lento e
non facilita l’espulsione delle microplastiche. Oltre ad essere un bacino morfologicamente
chiuso, riceve nelle sue acque le immissioni dei fiumi più importanti d’Europa:
il Danubio, il Po, il Don e il Rodano. Questi flussi attraversano territori
fortemente antropizzati e rilasciano nelle sue acque il costo più amaro del
benessere dei nostri tempi. Non solo rifiuti quotidiani, alla causa principale
della presenza di microplastiche si aggiungono altri veleni come pesticidi e i metalli
pesanti di un’economia impenitente. La ricerca scientifica sta smascherando la
doppia faccia di una qualità della vita apparentemente alta.
L’inquinamento
delle acque del Mediterraneo è subdolo e difficilmente percepibile e spesso uccide
gli animali marini. A farne le spese più di tutti sono le tartarughe marine. Il
Cnr di Oristano gestisce una specie di
ospedale che in pochi anni ha salvato 500 esemplari di caretta caretta che avevano
ingerito frammenti di plastica.
I nostri occhi e la nostra abitudine faticano ancora a vedere e
a concepire il rischio che ciò comporta per l’intera catena alimentare.
L’informazione cerca di veicolare la consapevolezza cercando di modificare le
scelte per un futuro migliore, anche quelle dei piccoli gesti quotidiani.
Elena
Bittante