
Nell’ascoltare i racconti di Donatella mi è venuto spontaneo chiederle di scrivere per Maremagazine i suoi Pensieri sul terremoto, sulle tendopoli e su una casa rotta. Eccoli…
Catania, aprile 2012
Compro da Decathlon una tenda Queshua a 3 posti e mi sistemo con il mio fidanzato di quegli anni in un’area attrezzata situata su una scogliera lavica, sulla costa dei Ciclopi, al Camping Jonio.
Un po’ artisti di strada e un po’ anche no, io e il mio fidanzato facciamo spettacoli e laboratori nei teatri e nelle case, nelle librerie e nelle birrerie, nelle stalle e nei giardini, nei circoli di cultura e nelle contrade, ma anche nei parchi e nelle scuole… raccontiamo di Colapesce, delle ultime Muciare, dell’Odissea Siciliana, della Partita Siciliana e della Camurria, dell’incontro di Don Chisciotte con Peppino Impastato, del Santissimo Crocifisso, dell’invasione dei Piemontesi e dei Garibaldini, e poi, poi di Santuzza: la mia amatissima Sant’Agata.
Nelle piazzole delle tende ci siamo solo noi. E anche il campeggio è quasi deserto, a volte incrocio qualche turista straniero e a volte qualche parente dei ricoverati del vicino Ospedale Cannizzaro per i quali la direzione del campeggio ha riservato delle offerte speciali. Scopro quasi subito che il campeggio è fornito di una lavatrice a gettoni che insieme ad un tavolinetto e a due sedie lasciate lì da qualcuno, completa la dotazione essenziale della nostra nuova casa.
Io in quella tenda sono stata felice.

Io e mia sorella arriviamo a Fossa nel pomeriggio. Tutti gli abitanti del paese sono lungo la strada nei pressi del campo sportivo dove si allena e gioca l’orgoglio dei Fossolani: l’A. S. D Valle Aterno Fossa. C’è molto fermento nell’aria: l’esercito, la protezione civile, gli Alpini e qualche scout stanno cominciando a montare proprio lì la tendopoli per i terremotati. Dovrà essere pronta in serata: non si può passare un'altra notte in macchina. Nel frattempo arrivano i camion con i sacchi a pelo, le coperte e altro vestiario. Vedo che negli spogliatoi hanno già allestito l’infermeria, ed è proprio lì vicino che finalmente vedo mio padre che mi viene incontro, sorridendo. Lo guardo e capisco subito che ha addosso abiti di fortuna: i pantaloni sono corti sul polpaccio e anche le maniche del trench lo sono sulle braccia. Evidentemente la media dei donatori di abiti usati è al di sotto del metro e 85. Quella immagine è indelebile nella mia mente.
Rimprovero spesso ai miei genitori che la mia incapacità a difendere i miei diritti derivi anche dalla loro bontà: da loro ho imparato ad incassare e soprassedere, piuttosto.
Così accanto alla preoccupazione io provo anche vergogna. Alla mia domanda papà mi risponde che sarà per lui e mamma una sistemazione provvisoria perché i danni alla nostra casa sono lievi. Io non ho ancora visto casa nostra e non so le sue condizioni, ma quando il sindaco chiama a raccolta gli sfollati e invita tutti a non cambiare le tende che verranno loro assegnate perché la matricola che ognuna di loro ha stampata sopra sarà il loro nuovo indirizzo postale, capisco che nulla sarà provvisorio tranne quel sentimento di provvisorietà che ci forse accompagnerà per sempre.
7 anni dopo, 24 agosto 2016
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Clemente Franciosi, baritono |
La mia casa aveva grandi balconi e in ognuno di essi vi erano grandi vasi di gerani.
Tu dove eri alle 3,32?
Casa mia con il terremoto del 2009 si è avvitata su se stessa e si è spostata di qualche grado. Succede che i balconi non guardano più la stessa campagna. È come se l’inquadratura si fosse sposata un po’ più giù e un po’ più in là. È un cambiamento impercettibile agli occhi, ma l’anima lo sa che l’orizzonte è cambiato.
Tu dove eri alle 3,32?
Vorrei ricordare quante mandate ha la serratura della porta d’ingresso. Per abitarla ancora.
Una chiave d’oro e una d’argento e, alle mie spalle, la paura di un arco buio.
Donatella Franciosi