Giovedì 20 0ttobre in libreria per parlare di acidi grassi Omega3, vi aspettiamo!

Non è la prima volta che nella nostra libreria anziché parlare di libri si parla di pesce, come abbiamo fatto per esempio a marzo quando presentammo “La mensa del buon pesce”. Così faremo il prossimo 20 ottobre facendovi conoscere il progetto SANPEI, acronimo di Sano come un Pesce Biologico Italiano che ha per obiettivo quello di promuovere l’acquacoltura sostenibile e il pesce bio. Visto che mari e oceani saranno sempre più poveri e che gran parte del pesce che mangeremo in futuro proverrà da impianti di acquacoltura, ecco perché ne parleremo. E se
poi i pesci che finiranno nel nostro piatto vengono allevati in modo sostenibile e magari anche biologico, è bene parlarne subito per capire, quando ci troviamo davanti al bancone del pesce, se quel pesce è d’importazione, magari congelato e scongelato, se pescato nel nostro mare, o se proviene da allevamenti in acquacoltura magari biologica. Giovedì sera vi renderete conto che apprezzare queste differenze significa, a parte il gusto, riuscire a valutare quanti acidi grassi Omega3 assumerete.
A parlarne saranno due giovani ricercatori Domitilla Pulcini e Fabrizio Capoccioni del CREA, il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria, un ente pubblico che si occupa di agricoltura in particolare di zootecnia di cui l’acquacoltura è una parte importante tanto che quella italiana è considerata al mondo uno dei modelli più sostenibili. I due fanno parte di un gruppo di ricerca che da tre anni si occupa di studiare problemi e innovazioni delle tecniche di allevamento bio e a parlarcene è lo stesso Capoccioni: “L’Italia  si colloca rispetto alla Grecia, alla Turchia e alla Spagna come un paese che predilige una produzione di alto livello puntando molto sulla qualità con il pesce allevato nelle migliori condizioni. Tanto è vero che, per esempio, l’orata allevata in Grecia vale un terzo rispetto alle nostre.
Come si inserisce  il nostro lavoro in questo quadro? Noi siamo un ente di ricerca vigilato dal MIPAAF (Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali) che ci ha affidato negli ultimi anni diversi progetti con l’obiettivo di sostenere l’acquacoltura biologica che alleva pesci seguendo quelli che sono i dettami che derivano dal biologico e da un regolamento europeo. È questo un settore molto giovane regolamentato soltanto nel 2009, quindi a livello produttivo è ancora di nicchia, rispetto per esempio all’agricoltura biologica che, nata molto prima, ha già una consolidata esperienza. L’acquacoltura sconta un ritardo dovuto sia problemi di livello tecnico produttivo sia agli aspetti legati alla ricerca dei mangimi certificati bio e anche a una serie di problemi dovuti alla percezione che ha il consumatore nei confronti di questi prodotti.
Tra l’orata pescata in mare, quella allevata tradizionalmente e quella bio c’è ancora confusione e ed è scarsa la percezione nell’apprezzare in particolare le caratteristiche dei prodotti bio. Uno degli obiettivi dei nostri progetti è anche aumentare la percezione per creare nuovi mercati per il pesce bio partendo per esempio dalla ristorazione pubblica nelle mense scolastiche, quindi promuovere anche con progetti innovati, per esempio con spettacoli teatrali, il significato del mangiare un pesce bio che va aldilà della qualità del pesce, sottolineando l’importanza dell’impatto ambientale degli allevamenti bio che per legge devono essere chiaramente certificati. Il pesce è controllato in tutte le sue fasi di allevamento, vietatissime le somministrazioni di ogni farmaco allopatico a partire dai tanto discussi antibiotici.
Inoltre il mangime, l’aspetto cruciale di un allevamento, è obbligatoriamente certificato bio: il pesce è un carnivoro quindi le proteine che assume in parte vengono da farine provenienti da pesca certificata sostenibile, quindi con un ridotto impatto sull’ambiente, e anche la componente proteica vegetale (farine di pisello, soia, fava) proviene da agricoltura bio.
Il consumatore che non sia molto esperto, quando mangerà un’orata bio non noterà un sapore molto diverso, ma quello che conta è la qualità organolettica non il sapore: quell’orata contiene quantità elevate di acidi grassi Omega3 come nessun altro prodotto animale. Gli allevamenti bio rappresentano una produzione di nicchia con la conseguente distribuzione a un livello locale. ovvero si mangia non molto distante dai luoghi di allevamento.
Infatti uno dei problemi che stiamo affrontando con i nostri progetti è il coinvolgimento della GDO, Grande Distribuzione Organizzata, ovvero i supermercati che ancora non scommette sul pesce bio, allora saranno sempre pochi gli allevamenti che si certificheranno bio. Al momento abbiamo noi più di 60 allevamento bio. Il più importante è quello di Palma d’Oro con gabbie a mare vicino Sant’Antioco, in Sardegna. La base degli allevamenti certificati bio si trova nel Nord Adriatico in particolare nelle vasche da pesca adriatiche, quelle del Delta del Po e del Polesine. Sono l’emblema del bio perché il sistema produttivo sfrutta le lagune, non c’è niente di meglio è un ambiente che permette di non usare mangimi, perché il pesce si nutre naturalmente. Per garantire il benessere dell’animale le densità non devono superare certe soglie, 12 kg/metro cubo, questo limite ovviamente influisce sulle quantità della produzione ma l’obiettivo è quello di farlo costare come quello degli allevamenti tradizionali.
Certo se si confronta con l’orata greca a otto euro al chilo… e purtroppo il consumatore ancora non sa distinguere tra queste e quelle bio perché non ha ancora tutte informazioni. L’obiettivo di questi progetti è anche quello di colmare questo gap, perché fondamentalmente il biologico è fiducia e marchio europeo che accompagna il prodotto bio è la garanzia di qualità.
Saremo in libreria per spiegare in maniera chiara e diretta l’acquacoltura sostenibile in generale e quella bio che è il massimo della sosteniblità, e presenteremo un piccolo documentario di 9 minuti con il lavoro del nostro istituto e del MIPAF. Vi aspettiamo!