Polpette di tonno rosso e altre storie secondo Marcella Croce

 
Il tonno rosso (Thunnus thynnus, in inglese Northern Bluefin Tuna) era così abbondante nel Mediterraneo da essere oggi da taluno paragonato al bufalo delle grandi praterie americane per la sua funzione di fornire il principale contributo proteico agli abitanti. Secondo l’ittiologo tedesco Marcus Elieser Bloch (1723-99), la pesca del tonno nel Mediterraneo ebbe un notevole incremento a causa del terremoto di Lisbona del 1755 che insabbiò la costa iberica atlantica, bloccando la possibilità di pescare agevolmente intorno a Cadice che, con le sue tonnare millenarie, era uno dei maggiori centri di pesca europei.

Questo gigante del mare, che è il pesce osseo più grande del mondo, un tempo così importante nella vita e nella dieta dei siciliani, passa vicino alla Sicilia nel mese di maggio, e un tempo le dimensioni dei branchi erano davvero considerevoli. Abbondanti decime del pescato venivano consegnate ai feudatari e ai monasteri che ne vantavano diritto; Jean Houel riferisce che anche i monaci degli ordini mendicanti ne “estorcevano” buone quantità dai pescatori, minacciandoli che, se non avessero ottemperato alle loro richieste, la prossima volta si sarebbero astenuti dalle loro preghiere, cui l’abbondanza della pesca sarebbe stata interamente dovuta. 
Ciononostante, la quantità del pescato era tale che una gran parte doveva essere conservato. La parte del tonno destinato all’esportazione era salato e messo in botti, finché nella seconda metà dell’800, nella Sicilia dei Florio, l’industria del tonno in scatola ricevette straordinario impulso: la Sicilia si contende il primato dell’inscatolamento con la Sardegna, dove già nel 1868 è attestato da un documento delle tonnare di Carloforte sull’isola di San Pietro. In famiglia il tonno era tradizionalmente conservato sott’olio dopo essere stato bollito (vugghiuta).
Le migrazioni dei grandi branchi di tonno, su cui già Aristotele aveva le sue teorie, sono state per lungo tempo abbastanza misteriose. Oggi si ritiene che il tonno rosso penetri in branchi nel Mediterraneo dall’Atlantico, concentrandosi al largo della costa calabra per riprodursi. Lungo tutte le coste siciliane i branchi trovavano 53 tonnare pronte a catturarli, per lo più in primavera mentre si spostavano nella stagione degli amori verso est (tonnare di corsa o di passa) o, meno frequentemente, in luglio e agosto verso ovest (tonnare di ritorno). Reti lunghe centinaia di metri erano fissate al fondo del mare con enormi ancore: per intere settimane i tonni entravano in queste trappole gigantesche e si affollavano senza via d’uscita verso la “camera della morte”, l’unica zona provvista di una rete orizzontale. Infine arrivava il giorno della mattanza che, in base ai venti e alle correnti, veniva deciso spesso all’ultimo momento dal capo della tonnara (raìs), la cui autorità veniva considerata indiscutibile. Mattanza e raìs, rispettivamente “uccisione” in spagnolo e “signore” in arabo, sono le due parole chiave che rivelano l’appartenenza di questo antico sistema di pesca all’intera area mediterranea. Al canto degli antichi ritmi delle cialome, i tonnaroti issavano la rete e arpionavano ad uno ad uno gli enormi tonni: un rito tribale di potenza ancestrale, uno spettacolo cruento ma affascinante, che oggi non è più frequente giacché l’attività dell’ultima tonnara, quella dell’isola di Favignana, è ormai discontinua.
Le virtù del tonno siciliano erano famose già nell'antichità: «La costa di Tindari nutre i tonni migliori», scriveva Archestrato di Gela, e il celebre cratere del venditore di tonno rinvenuto a Lipari, oggi esposto al Museo Mandralisca di Cefalù, risale al IV secolo a.C. In greco il cratere era un grande vaso in cui si mescolava il vino con l’acqua; dalla forma del vaso prende nome il cratere del vulcano, e non viceversa. A secondo del periodo nel quale furono prodotti, i vasi erano dipinti a figure rosse su fondo nero, o a figure nere su fondo rosso; i migliori erano importati direttamente dall’Attica, ma molti erano anche prodotti localmente nelle colonie della Magna Grecia. Quello di Lipari raffigura un cliente che, con una moneta in mano, sembra abbastanza perplesso per il prezzo che gli è stato chiesto, e aspetta che l’anziano venditore tagli a pezzi su un ceppo a tre piedi (chianca) un tonno con un grande coltello. Una scena molto simile è spesso dato osservare nei mercati siciliani nel periodo in cui è in vendita il tonno fresco. Il venditore è assai realisticamente descritto rughe e ombelico compresi; queste vivacissime scenette di vita quotidiana ci aiutano a comprendere che gli antichi greci erano come noi persone che si preoccupavano dell'aumento dei prezzi, che mangiavano, che invecchiavano.
Nelle acque della Sicilia si è pescato tonno per almeno dodicimila anni senza soluzione di continuità: nell’isola di Levanzo, proprio di fronte a Favignana, risale al Paleolitico (X millennio a.C.) uno dei disegni a carboncino rinvenuti all’interno della grotta del Genovese, e raffigura per l’appunto un tonno. La città di Trapani e le isole Egadi sono tuttora specializzate in prodotti e ricette a base di tonno: tagliando pazientemente il pesce a filo di coltello e mischiandolo agli stessi ingredienti delle polpette di carne, si possono ottenere magnifiche polpette di tonno. È bene notare che i Romani erano ghiottissimi di pesce, da cui facevano salsicce, frittate e polpette.

Le polpette di tonno rosso così le fa mio marito Giovanni Matranga, secondo una ricetta appresa a Favignana:
½ kg. di tonno fresco, 2 uova, 3 spicchi d’aglio a pezzettini, 30 gr. caciocavallo grattugiato, mollica di pane raffermo ammollata nel brodo vegetale, menta abbondante, salsa di pomodoro, sale. Tagliuzzare con il coltello il tonno. Strizzare la mollica di pane e mischiarla al tonno, alle uova sbattute, alla menta tritata, all’aglio sminuzzato, e al formaggio grattugiato. Farne delle polpette che vanno fritte in poco olio d’oliva, e insaporite nella salsa di pomodoro.

Guida ai sapori perduti – storia del cibo sicilianocon 40 antiche ricette di Marcella Croce