Sommergibile Titan sul relitto Panarea III |
È a partire da
questa testimonianza, la riportiamo per intero, che comprendiamo come la
Soprintendenza del Mare siciliana continui a regalarci sorprese grazie proprio
al dinamismo di Sebastiano Tusa che riesce a coinvolgere per le sue ricerche in mare prestigiose fondazioni
no profit americane “armate” delle più moderne tecnologie.
“Di relitti antichi e moderni nella mia lunga
carriera di archeologo ne ho visti e toccati a decine, ma essere riuscito a
raggiungere un relitto di una nave naufragata 2000 anni fa che si trova nel
buio e nel silenzio di 130 metri di profondità mi dato un’emozione
indescrivibile che non avevo mai provato. Avere la possibilità, grazie al
batiscafo messo a disposizione dalla GUE, di adagiarmi dolcemente sulla distesa
di anfore ed osservarle una ad una per oltre tre ore, di “toccarle” con il
braccio antropomorfo facile da usare come un gioco elettronico da Luna Park, è
stata una delle esperienze più interessanti della mia vita che mi ha fatto toccare con mano quanto
Sommergibile Titan recupera un piatto |
Thymiaterion: altare in terracotta |
Per prima Tusa ha coinvolto la fondazione privata RPM Nautical Foundation,
nata con lo scopo di sviluppare la ricerca archeologica subacquea che ha messo
a disposizione la nave oceanografica Hercules utilizzata da più anni nelle campagne
di ricerche per la localizzazione della Battaglia delle Egadi contrassegnate da
recuperi straordinari (fino ad oggi 11 rostri). La base fissa delle sue due
navi da ricerca Juno e Hercules è a Malta.
Quest’anno, nel
mese di settembre, per una campagna di ricognizioni archeologiche in alto
fondale nelle acque di Pantelleria,
Lipari e Panarea coordinata dallo
stesso Tusa con Roberto La Rocca e con l’ausilio di Salvo Emma,
ha coinvolto la GlobalUnderwater Explorers (GUE) e il suo suo presidente Jarrod Jablonski nell’ambito
del progetto “Project Baseline”.
Mario Arena, Jarrod Jablonski, Sebastiano Tusa |
Diversi sponsor hanno partecipato alla
missione tra i quali una seconda no–profit americana, la Brownie’s GlobalLogistics (BGL) e il suo Presidente Robert Carmichael. Importante la fattiva
collaborazione delle Capitanerie di Porto di Pantelleria e Lipari. In
particolare l’Ufficio circondariale marittimo di Lipari comandato dal T.V. Paolo
Margadonna, con la motovedetta CP 322 comandata dal M.llo Roberto Mangione, ha
partecipato direttamente alle operazioni di recupero di alcuni reperti effettuate
sul relitto Panarea III. Le ricognizioni sui siti indicati dalla Soprintendenza
del Mare sono state effettuate sia con l’impiego dei subacquei altofondalisti,
sia con due sommergibili Triton submersibles biposto dotati di braccio
meccanico e attrezzature di documentazione videofotografiche.
Immersione del sommergibile |
La nave di 50
metri Pacific Provider dotata delle più recenti tecnologie dedicate alle
immersioni tecniche subacquee e di una camera iperbarica, ha fatto da supporto
alle operazioni di ricognizione. Le tecnologie e le attrezzature utilizzate per
la missione sono state fornite dalla GUE e dalla Brownie’s Global Logistic. A
Pantelleria sono state effettuate ricognizioni subacquee sui fondali di Cala
Levante, Cala Tramontana e Cala Gadir fino a profondità di oltre 100 metri
individuando vari areali con presenza di anfore di varia tipologia
(principalmente greco-italiche e puniche).
Ma è a Lipari e Panarea che si è
concentrata maggiormente l’attività sui siti subacquei di Capistello e dei
relitti Panarea II e Panarea III. A Capistello si è esplorata l’area del ben
noto relitto già sondato in passato il cui carico è stato recuperato a più
riprese oltre ad essere stato purtroppo anche saccheggiato. Parte del carico è
scivolato più in profondità e sono stati individuati numerosi ceppi d’ancora in
piombo, alcuni con le contromarre La presenza di un numero consistente di
ancore conferma la caratteristica del sito come luogo di sosta ed ancoraggio
lungo le rotte antiche che interessavano l’arcipelago eoliano.
Sub altofondista sul relitto |
A circa 120
metri di profondità nell’area circostante il relitto vero e proprio, di cui
ancora è ben conservata una porzione lignea della chiglia, è stata identificata
la base ed il fusto scanalato di un thymiaterion in terracotta di cui manca
apparentemente il bacino superiore. Nella medesima zona, ad una profondità di
circa 80 metri, si sono trovate due anfore già imbracate insieme con una cima
legata ad un pallone di sollevamento che dovette collassare impedendo il
trafugamento delle stesse.
Reperti issati a bordo |
L’attività più
consistente e di successo si è avuta esplorando approfonditamente il relitto di
Panarea III, già identificato nel 2010 in seguito ad una campagna di
rilevamenti a mezzo side scan sonar con la collaborazione della Fondazione
Aurora Trust. Si è effettuata la fotogrammetria in 3D dell’intero carico
anforaceo ed una accurata documentazione video fotografica ad alta definizione.
Avendo avuto la possibilità di analizzare con sistematicità il carico
osservandolo sia per mezzo del batiscafo che tramite le ricognizioni dei
subacquei altofondalisti si sono raccolti interessanti dati sul carico. In
particolare si è notato che la maggior parte delle anfore sono del tipo greco-italico,
ma una consistente parte era anche costituita da anfore puniche posizionate su
una estremità del carico che ipotizziamo essere la parte prodiera.
In questa parte si è constatata la presenza di
una macina (catillo), di alcuni vasi cilindrici del tipo sombrero de copa (alcuni impilati uno dentro l’altro), alcuni
piatti cosiddetti da pesce, altri piccoli piattelli e ciotole e un thymiaterion
intero rotto in due parti con la base modanata recante un’iscrizione in greco
costituita da tre lettere (ETH). Il resto dell’oggetto è costituito da una
bassa colonna cilindrica liscia e da un bacino di grandi dimensioni.
La giacitura del
carico porta ad ipotizzare una dinamica di affondamento che portò la nave a
coricarsi sul suo lato sinistro. Ciò è desumibile dalla posizione delle anfore
e dalla presenza degli oggetti di bordo (piatti, macina, thymiaterion, etc.),
che dovevano trovarsi in stiva e sulla prua, ribaltati e quasi scaraventati
fuori dall’areale di dispersione del carico.
Piatto per il pesce |
Prelevate dai
subacquei altofondalisti della GUE alcune anfore (un esemplare di ogni
tipologia riscontrata nel carico), il thymiaterion,
alcuni piatti e piattelli, una brocca, un’olla e due vasi del tipo sombrero de copa. Particolarmente
interessante si è rivelato il thymiaterion
recuperato poiché integro con decorazione in rilievo sul bordo del bacino
costituita da onde marine stilizzate.
La missione congiunta tra la Soprintendenza
del Mare la GUE e BGL è stata un successo sia perché si è aggiunta una
documentazione preziosa per lo studio e la tutela dei relitti, sia perché si
sono recuperati oggetti di pregio che arricchiranno la già nutrita collezione
archeologica subacquea del Museo Archeologico Eoliano L.Bernabò Brea di Lipari,
sia per la dotazione di materiale documentario di grande efficacia visiva e
didattica che sarà utilissima per realizzare prodotti multimediali finalizzati
ad una delle attività strategiche della Soprintendenza del Mare: la diffusione
della cultura e del rispetto del patrimonio culturale marino e delle immense
valenze storico-culturali del mare siciliano nel mondo.
Carico anfore relitto Panarea III |
Aspetto sottolineato
dall’assessore dei Beni culturali e l’Identità siciliana Prof.ssa Furnari che
durante la visita al cantiere di scavo ha auspicato la realizzazione di
materiale visivo didattico da fare veicolare nelle scuole e nelle principali
città e borghi marinari della Sicilia, ma anche al di fuori dell’isola, al fine
di diffondere la conoscenza del patrimonio culturale marino della Sicilia.
È bene ricordare che la Sicilia, avendo
una competenza esclusiva sui beni culturali in virtù del decreto (DPR n. 805
del 1975), ha trasferito le competenze in materia di beni culturali dallo Stato
alla Regione, e ha un particolare
regime di tutela e valorizzazione dei reperti archeologici subacquei rinvenuti
nel proprio mare, che la pone all’avanguardia
nella tutela del suo patrimonio. Grazie a questa possibilità, con l’art. 28
della Legge finanziaria regionale del 2004, è stata istituita la Soprintendenza
del Mare, una struttura con competenza regionale che opera presso l’Assessorato
per i beni culturali ambientali e pubblica istruzione e ha compiti di ricerca,
censimento, tutela, vigilanza, valorizzazione e fruizione del patrimonio
archeologico subacqueo, storico, naturalistico e demo-antropologico dei mari
siciliani e delle sue isole minori.
Nave Pacific Provider |
Opera in piena
autonomia, con un’ottica a tutto campo, è diretta dal soprintendente
Sebastiano
Tusa, ed è costituita da operatori subacquei, archeologi, ingegneri,
architetti, ricercatori bibliografici, geometri, geologi, fotografi,
informatici e disegnatori e si avvale del supporto delle forze dell’ordine.
Può avvalersi
della collaborazione dei mezzi navali, aerei e strumentali dell’Arma dei
Carabinieri (Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale), della
Guardia di Finanza (Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico del Comando Unità
Speciali della Guardia di Finanza), della Polizia di Stato, dei Vigili del
Fuoco, della Guardia Costiera e della Marina Militare. A questo proposito va
ricordato che nel 1998 il Ministero dei Beni Culturali stipulò una convenzione
con il Ministero della Difesa che attribuì alla Marina Militare i compiti di
ricerca, localizzazione e recupero di beni storico-archeologici in fondali
inferiori e superiori ai 40 metri di profondità, con mezzi appositamente
attrezzati, e di vigilanza, prevenzione e repressione di eventuali illeciti. Va
infine ricordato che una particolare competenza in materia di controllo e
repressione delle violazioni di legge nel campo dell’archeologia subacquea in
Italia è riconosciuta alle Capitanerie di Porto e alla Guardia Costiera.
Il Titan al lavoro a -130 |
Un po’ di storia
delle scoperte archeologiche nei mari siciliani
Nel 1955 un
peschereccio italiano, l’Angelina Madre, impiglia le sue reti in un oggetto
sommerso a circa 20 miglia marine dalla costa della Sicilia meridionale: questa
piccola statuetta fenicia in bronzo, custodita nel Museo archeologico di
Palermo, rappresenta il dio del mare Melqart. Il prezioso reperto diede
luogo a un caso giudiziario che rimane ancora
oggi esemplare nel campo controverso della condizione giuridica dei
reperti archeologici trovati in mare. Fu allora che il giudice, in virtù
dell’art.4 del codice della navigazione, giudicando le reti estensioni del
natante, stabilì che una volta venuto in contatto con imbarcazione battente
bandiera italiana, il reperto fosse da sottoporre alla legge nazionale
(l’allora 1089 del 1939) e, quindi, di proprietà dello Stato.
Briefing, si valuta la posizione del relitto |
Nel 1969,
lavori di dragaggio effettuati di fronte a Mozia, poco a nord di Marsala, evidenziarono
la presenza di diversi relitti antichi fra i 2 e i 6 metri di profondità; nei
due anni seguenti ricerche archeologiche portarono alla scoperta del primo
relitto di nave punica fino ad allora conosciuto, che fu oggetto di quattro
campagne di scavo (1971-1974) guidate da Honor Frost.
Nel marzo
1998, un motopesca di Mazara del Vallo (Trapani), il “Capitan Ciccio”,
comandato da Francesco Adragna, recuperò casualmente con la sua rete a
strascico, a oltre 400 metri di profondità, tra Pantelleria e Capo Bon, una
grande statua bronzea raffigurante un satiro in atteggiamento di frenetica
danza, in seguito meglio conosciuto come satiro danzante, vero e proprio capolavoro
dell’arte greca della fine del IV secolo a.C.
Il Titan issato a bordo |
Ma le problematiche dell’alto fondale finirono sulle prime
pagine dei giornali in seguito alle “spericolate” imprese di Robert D. Ballard,
il famoso oceanografo statunitense
esploratore di abissi. Tutto cominciò quando Ballard annunciò, presso la
National Geographic Society a Washington, di aver localizzato una grande
concentrazione di relitti antichi in
acque profonde a nord-ovest della Sicilia, lungo una via di comunicazione
tra Roma ed il Nord–Africa. Le tracce di ben otto imbarcazioni furono
rinvenute a circa 800 metri di profondità nei pressi del Banco Skerki dal
sottomarino nucleare della Us Navy. A questi formidabili mezzi tecnologi ci si
aggiunse il veicolo a comando remoto (Rov) Jason, lanciato dal sommergibile
nucleare per effettuare documentazioni
fotografiche e grafiche e per prelevare 115 oggetti nel corso
dell’esplorazione dei relitti. Se il satiro è stato “salvato” dal “predone”
Ballard, sono purtroppo innumerevoli le opere d’arte rinvenute in passato nelle
acque italiane da sub senza scrupoli e poi imbarcate clandestinamente per lidi
d’oltreoceano. Un esempio per tutti: il bellissimo bronzo dell’Atleta di Fano,
ora al Getty Museum di Malibu.
Foto ricordo dell’equipe con i reperti |
Queste scoperte al di fuori dei mari territoriali accendono
i riflettori sul problema della ricerca
e tutela del patrimonio
storico-archeologico subacqueo e sui rischi di depredazioni o distruzioni ad
opera dei vari “predoni” del mare o, più
semplicemente, per l’azione “inconsapevole” delle reti a strascico. Questo settore della ricerca archeologica
costituisce una vera e propria nuova frontiera
dell’archeologia per le potenzialità dei rinvenimenti, per la spettacolarità delle tecnologie coinvolte e per i problemi giuridici che solleva poiché
quasi sempre il teatro operativo si trova in acque non territoriali dove
l’intervento non è specificatamente normato, affidandosi, al momento, alle
sole raccomandazioni della convenzione
di Montego Bay.
Nel
corso dei diversi convegni internazionali sono state tracciate delle linee
guida per salvaguardare il patrimonio sommerso, in funzione “anti Ballard”,
sottolineando la necessità di creare strumenti legali chiari ed efficaci, di
sviluppare la cooperazione fra gli Stati rivieraschi (come espressamente
previsto nella parte IX della “Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare) e realizzare una mappatura
dei siti da proteggere (anche dalle reti a strascico dei pescatori). Soltanto
nel 2001, quasi vent’anni dopo l’adozione della è stato possibile completare
l’iter legislativo da questa avviato
in merito alla protezione del patrimonio culturale sommerso, in modo più completo e (si spera) più
efficace: la nuova “Convenzione sulla protezione del Patrimonio Culturale
Sottomarino”, approvata il 2 novembre 2001 dalla 31esima Conferenza Generale
dell’UNESCO, riunita in sessione plenaria a Parigi, ed entrata in vigore di
recente, il 2 gennaio del 2009, ha finalmente permesso di compiere un significativo
passo avanti.
Le fotografie sono di Salvo Emma
Le fotografie sono di Salvo Emma
Maurizio Bizziccari