Straordinarie persone a Gaeta, ce le racconta Giuliano Gallo

Giulia D’Angelo
Gaeta, aprile 2013. Strane straordinarie persone si sono aggirate in questi giorni per i vicoli e i moli di Gaeta. Scrittori, musicisti, archeologi. Tutti legati dall’amore per il mare. Un amore forte, profondo.
Al punto di averne fatto il centro della propria vita, e di avergli in qualche caso sacrificato anche carriere e tranquillità di vita. Sono stati tutti qui per la seconda edizione del Festival Internazionale dell’Editoria del Mare, organizzato ancora una volta dall’infaticabile Giulia D’Angelo e dalla Libreria il Mare.
Dal 20 al 28 aprile, all’interno dello Yacht Med Festival un rosario di eventi sontuosi e pieni di interesse: un convegno sull’archeologia subacquea, occasione per presentare una delle scoperte archeologiche più importanti degli ultimi anni, quello dedicato ai 500 anni di Piri Reis, padre della cartografia moderna.
In mezzo, un fiume di incontri e di persone un po’ magiche, che in questi giorni è stato possibile avvicinare, con le quali si poteva parlare, ai quali si poteva chiedere, che si potevano ringraziare per le magie che avevano regalato.
Persone ognuna straordinaria a modo suo, comunque. E non so davvero adesso da quale iniziare.
Björn Larsson
Forse da Björn Larsson, scrittore che di svedese ha ormai quasi solo la nascita: docente di letteratura francese all'Università svedese di Lund, appassionato di navigazione, ha trascorso mesi sulla sua barca a vela, a bordo della quale ha scritto anche alcuni romanzi e che compare in alcuni di essi (per esempio nel Cerchio celtico).
La sua carriera di scrittore inizia nel 1980 con una raccolta di racconti, ma è nel 1992 che si fa conoscere al grande pubblico appunto con Il cerchio celtico. Ha scritto anche La vera storia del pirata Long John Silver (romanzo in cui tratta l’avventurosa storia del pirata creato da Robert Louis Stevenson e soprannominato "Barbecue"), Il porto dei sogni incrociati, L’occhio del male, La saggezza del mare e altre opere premiate con vari premi letterari, tra cui il Prix Médicis. 
A sn. Björn mostra il suo ultimissimo romanzo, L’ultima avventura del pirata Long John Silver
Il paese che sembra amarlo di più, e che lui sembra ricambiare (tanto da averne imparato la lingua e avervi scelto la sua compagna) è proprio l’Italia: i suoi libri, tradotti in tutto il mondo, hanno venduto da noi 600 mila copie. Una biografia imponente, che però da sola non riesce a raccontare davvero di quest’uomo ironico e profondo, capace di incantare non solo scrivendo, ma anche con il raccontare, magari a cena, della magia di un approdo in qualche sperduto porto d’Irlanda, delle grandi onde che flagellano le coste della Scozia, delle solitudini infinite di quei mari burrascosi e freddi che continua a prediligere.
Rod e Lu Heikell
Quei mari che aveva conosciuto facendo il subacqueo, immergendosi anche sotto i ghiacci. Björn continua a scrivere storie, perché è la sua vita e il suo piacere. A mano, lentamente, pesando le parole, consumando tutto il tempo che occorre. Anche tre anni, se il libro lo pretende. Ma oltre alle storie adesso scrive anche delle domande che gli uomini si pongono, degli intrecci che la vita costruisce, dei perché che spesso non trovano risposte.
Solare, pacificato, modesto fino all’eccesso, anche lui pieno di ironia, Rod Heikell nei giorni di Gaeta si è conquistato tutta la mia invidia. Rod viene dalla Nuova Zelanda, ed era destinato ad una seria carriera di accademico.
Rod, Lu e Francesca
Come ogni buon neozelandese aveva naturalmente navigato a vela. Lui adesso racconta che sì, in effetti aveva navigato “con esitazione” lungo un po’ delle coste del suo paese, compreso il celeberrimo golfo di Hauraki sul quale sorge Auckland. “Ma non ero molto bravo a farlo”, ammette con robusta auto ironia. E comunque, emigrato in Inghilterra, aveva abbandonato la sua carriera accademica “per nessun’altra buona ragione se non la curiosità”. Iniziandone una di navigatore che non è ancora finita e che non finirà probabilmente mai. “Dove immagino di fermarmi? Da nessuna parte. Immagino che un giorno Lu mi troverà immobile mentre mi affanno a tirar su la randa…”, dice ridendo.
A sn. Giulia D’Angelo, Lu, Giuliano Gallo (autore di questo articolo) e Rod Heikell

Lu è il suo punto di equilibrio, la sua compagna di vita e di viaggi. Lu, che è alta, forte, solare e ha gli occhi azzurri un po’ a mandorla, è quella che gli permette di dormire sereno per tre ore di fila durante una lunga navigazione. “E’ fondamentale sapere di avere qualcuno di cui puoi fidarti fino a quel punto, fino a lasciarti andare completamente nelle sue mani”. Rod e Lu scrivono libri sui loro viaggi. Portolani che sono anche libri di storia, saggi di costume, manuali di cucina. Ne hanno scritti venti, pubblicati in tutto il mondo e in tutte le lingue. E a leggerli si capisce quanto si siano divertiti a scriverli. Il primo viaggio di Rod fu una discesa dall’Inghilterra al Mediterraneo su una barchetta di 20 piedi, lungo i canali della Francia. Poi una barca un po’ più grande, 31 piedi, per arrivare fino all’Oceano Indiano, una di 36 per arrivare negli Stati Uniti e poi ai Caraibi, e infine Skylax, robusto e magnifico 46 piedi neozelandese per spingersi fino al Sud Est asiatico, attraversare il Pacifico e tornare di nuovo ai Caraibi.
Ma dopo quattro transatlantiche e un giro del mondo, Rod e Lu sono tornati di nuovo in Mediterraneo, il loro vero amore. Grecia, Turchia e Italia, mille e mille angoli da esplorare e da raccontare, centinaia di piatti da assaggiare e da infilare in una delle loro guide. Rod con la sua eterna sigaretta in mano, Lu con quella sua risata senza freni, bassa, di gola, che pare un colpo di cannone. Gli ho detto che li odiavo per la vita che si sono regalati, ma non mi hanno creduto.
Anche Roberto ha dato un calcio a molte cose della sua vita: la fama, il danaro, la possibilità di conoscere altro mondo, di inebriarsi di altri applausi. E la sicurezza di vivere in una bella casa, in una bella città, di vedere i suoi amici quando ne ha voglia, di comperarsi magari un’automobile potente. Roberto Soldatini, direttore d’orchestra, violoncellista di valore, arrivato ha scelto il mare. Aveva lavorato e studiato con Leonard Bernstein, ha composto un’opera, ha insegnato al Conservatorio, ha sperimentato nuovi orizzonti musicali e fusioni fra musica e parole.
Roberto Soldatini e Luca Di Tommaso
E proprio come esempio di questa sperimentazione, ha presentato a Gaeta una cavalcata fra le parole di chi scrive di mare, lette dall’attore napoletano Luca Di Tommaso, e la musica. Musica di Bach o musica composta da lui stesso, parole del grande e purtroppo dimenticato Vittorio G. Rossi, di Björn Larsson, Folco Quilici e anche di Rod Heikell. Parole gridate, sussurrate, scomposte fino a farle avvicinare il più possibile alla musica. Perchè, dice Roberto, anche le parole hanno la musica dentro. Io lo penso da sempre, e qualunque lettore, anche inconsapevolmente, riesce a “sentire” quando le parole che sta leggendo hanno dentro la musica.
Roberto giura comunque che il suo non è un esilio, né una resa: la sua scelta è una scelta di libertà, non una fuga. “A cavallo tra gli anni settanta e ottanta ho vissuto un’esperienza davvero straordinaria - racconta -  ma sul momento non me ne rendevo conto pienamente, forse perché all’epoca fare carriera era più facile rispetto ad oggi. La musica mi aveva preso totalmente, assorbiva tutte le mie energie… respiravo con la musica e la musica respirava con me. Suonare il violoncello mi dava l’opportunità di provare emozioni straordinarie, di conoscere persone meravigliose, di approfondire culture diverse, di entrare nel mondo del sensibile”.
Poi la svolta, definitiva: Roberto vende la sua magnifica casa ad una signora inglese che per tutta la vita aveva fatto il pilota di Concorde, e compera da lei la sua barca, un robusto Moody 44. Prende la patente nautica e subito, praticamente senza nessuna esperienza  il 3 luglio 2011 prende il largo da solo, con a bordo solo Stradi, il suo violoncello, uno Stradivari del ’700. Il suo primo viaggio lo ha portato fino a Istanbul.
Roberto Soldatini
Nel libro che sta scrivendo lo racconta così, quel giorno: Nel Bosforo era come una giostra: mentre bordeggiavo per riconoscere le figure dei monumenti più celebri centinaia di traghetti attraversavano incessantemente per collegare la sponda europea con quella asiatica, mandando segnali sonori per farmi scansare, e dai loro ponti i turisti fotografavano la mia barca: in effetti era l’unica che procedeva a vela lì in mezzo. Avrei voluto continuare a fare altri giri sulla giostra, ma dopo più di tre ore purtroppo era arrivato il momento di uscire dal Bosforo, anche perché era sopraggiunta una motovedetta a “ricordarmi” che lì è vietato andare a vela... Ops! Ero da solo, venivo da Roma, ero in preda all’euforia, hanno capito e mi hanno lasciato andare: “Go!”.
Adesso Roberto vive a bordo della sua barca, nel Borgo Marinaro di Napoli. Insegna al Conservatorio, ma presto prenderà il largo di nuovo. Verso la Grecia, o la Turchia. Non importa. Basta andare, lui, Stradi e la sua barca.


Vorrei raccontarvi questi giorni minuto per minuto, con tutte le belle persone che mi è capitato di incontrare. Ma sarebbe chiedere troppo alla mia memoria e alla vostra attenzione. Di un altro però voglio parlare. Di uno che non è marinaio, ma che in mare vive e lavora. Si chiama Sebastiano Tusa, è il direttore della Soprintendenza del Mare Regione Sicilia).


A sn. Sebastiano Tusa tra due dei suoi dieci rostri, uno punico a sinistra e uno romano a destra. Al centro un elmo romano di tipo montefortino.

E dopo sette anni di cocciuto lavoro ha scoperto qualcosa di unico: fra Levanzo e Marettimo ha rintracciato il luogo esatto nel quale, il 10 marzo del 241 avanti Cristo, Romani e Cartaginesi si scontrarono nella battaglia delle Egadi, che avrebbe segnato la sconfitta definitiva dei Cartaginesi, fino a quel momento padroni quasi incontrastati della Sicilia e irriducibili avversari dei Romani nel controllo dei traffici commerciali del Mediterraneo.
A sn. Giovanni Gallo, Sebastiano Tusa e Claudio Mocchegiani Carpano

Una battaglia nella quale, secondo lo storico Polibio, i Romani avevano schierato almeno 400 navi, contro le 200 dei cartaginesi. Polibio, che era notoriamente dalla parte dei Romani, forse aveva esagerato un po’. Ma sicuramente si trattava di due flotte immense.
Che si erano scontrate come arieti, con tutta la forza che i rematori delle triremi erano capaci di imprimere.
 A ds. i relatori del convegno sull’Archeologia Subacquea: Sebastiano Tusa, Giulia D'Angelo, Claudio Mocchegiani Carpano, Giovanni Gallo, Annalisa Zarattini e Domenico Carro

Il professor Tusa di quelle terrificanti collisioni ha ritrovato le uniche tracce che potevano sopravvivere, i rostri di bronzo. Su un fondale di 80 metri ne hanno trovati in tutto dieci, più elmi dei soldati morti nei naufragi e almeno 200 anfore. Rostri romani e rostri cartaginesi, perfettamente conservati. Due erano esposti a Gaeta, e guardarli, pensando a cosa doveva essere stata quella terribile e infinita giornata, era un’emozione.


Giuliano Gallo