25 novembre 2012, mentre scrivo la
missione di Samantha Davies l’unica
skipper donna iscritta al Vendée Globe 2012-2013 non è ancora finita. È
ripartita ieri sera da Madeira (un arcipelago di isole portoghesi a quasi 300
miglia a nord ovest della costa africana), direzione Francia. Dal momento dell’incidente
non ci sono mai stati dubbi sul divenire: niente soccorsi, nessuna alternativa,
“l’uccello ferito” doveva tornare a casa tra le sue braccia. E così sarà.
La direzione degli eventi è
cambiata all’improvviso giovedì 15 novembre. Alle 19:15 ora francese Sam
contatta la Direction de Course del Vendée Globe per segnalare che la sua barca
ha disalberato. 27,5 metri di albero affondati in pieno oceano. Lat. 34°20’ N e
Long. 19°01’ W è il punto nave al momento della segnalazione. Samantha è in
mezzo al mare, 130 miglia dalla costa nord ovest di Madeira, con vento a 260°,
40 nodi, e onde da nord ovest di 3/4 metri. Si concede il tempo di un video per
chi è a casa, per il team, per la famiglia, per chi la segue, perché sa bene
che è molto dura per chi parte, ma altrettanto per chi resta.
L’avevamo già conosciuta allo
scorso Vendée Globe, quando era arrivata quarta. Bionda, inglese, 38 anni. Un nonno imbarcato sulla Royal Navy durante
la seconda guerra mondiale e un bimbo di 14 mesi, Ruben, a casa ad aspettarla.
Una donna, bella, simpatica e un bambino appena nato sulle spalle.
Una sfida
aperta ai luoghi comuni, che pure sembra scivolarle addosso naturale e liquida,
come l’acqua. Sam ha negli occhi l’inquietudine sana di chi vive di mare,
orizzonti e navigazione. Una tensione a sfidare e oltrepassare certi limiti che
forse non tutti possono comprendere in pieno. Prima di partire sognava il vento
forte, le onde enormi, l’incrocio tra gli oceani a Capo di Buona Speranza, e il
fascino di Capo Horn che non vedeva l’ora di incrociare perché la volta scorsa
era notte e non l’aveva amato abbastanza. Sognava di tornare sola in quella
distesa sconfinata di acqua e imprese quotidiane, perché “on n’a pas d’autres
contraintes que celles que l’on s’impose”, perché da soli si ha più tempo per
sentire l’oceano e incontrare cose magiche come le balene. Perché da soli si
entra più facilmente nel ritmo del mare ed allora anche le fatiche enormi hanno
una ragione di essere. È l’ottava donna in 24 anni di competizione. E il Vendee
Globe non è uno scherzo, è forse la regata più estrema che esista, una sfida
sportiva e umana ai limiti della resistenza.
Il giro del mondo in solitario,
senza scalo né assistenza, per oltre 27.000 miglia. In gioco c’è la vittoria, l’arrivo,
ma prima di tutto la sopravvivenza. Dei 120 skipper partiti nella storia della
regata, solo 60 l’hanno portata a termine. Tra i 20 partecipanti di quest’anno,
già 6 per una ragione o per l’altra si sono ritirati. Erano partiti da Les
Sables d’Olonne, Bretagna, alle 10:00 del 10 novembre, in direzione dell’Oceano Atlantico fino al Capo di Buona Speranza, per un
giro in senso orario attorno al circolo polare antartico, passando a destra di
Cape Leeuwin, in Australia, e Capo Horn, per fare ritorno in febbraio a Les
Sables. “Un giro del mondo senza vedere il mondo”, come disse Sam.
Un viaggio nel quale può accadere di tutto, certo non “roba da femminucce”. Ma
esiste chi è nato per dare prova che i luoghi comuni non sono la verità
inconfutabile e spetta ad ognuno scrivere il proprio destino. Esiste chi è
biondo, bello, donna ed ha un curriculum nautico da spavento. Esiste chi nelle
difficoltà dimostra metodo e self control. Esiste chi ha il carisma per creare
un gruppo di lavoro eccellente attorno a sé e la forza di non mollare, neppure
davanti al fallimento, perché ha capito che è proprio quello il momento
cruciale della sfida.
A chi prima di partire le chiese “ragione” del suo essere
donna e neo-mamma, Sam rispose: “maschio o femmina là fuori tra le onde poco
importa, chiunque di noi potrebbe non ritornare. E in quanto a mio figlio, non
ho mai preso rischi inutili e non intendo farlo ora, ma rinunciare sarebbe la
sconfitta più amara, per tutti. Rubin è figlio di velisti, capirà”.
La sua forza, determinata eppure
femminile, ci concretizza una immagine non comune di grande marinaio che sfida
un certo tipo di cultura del mare, la dominante, ferocemente “maschile”. Un
esempio da seguire? Eccolo! La scorsa Vendée l’ha consacrata tra i navigatori
in solitario d’eccellenza. E appena tornata, non ha fatto altro che trovare il
modo di ripartire. Ha creato una impresa per costruire un progetto sportivo
performante e raccogliere partner e fondi, i tanti che servono per sostenere un’impresa
simile. Skipper, capo d’impresa, madre di famiglia. Sempre con il sorriso.
Quattro anni di lavoro in apparenza finiti lì, in quel punto dell’Atlantico,
alle 19:15 del 15 novembre.
Eppure Samantha non ha mai perso l’entusiasmo per
guardare avanti e neppure la capacità di contagiare gli spettatori, con i
video, le foto, le parole che continuano ad arrivare dall’Oceano. Eppure
Samantha sta ancora navigando. Obiettivo attuale, vento permettendo: risalire a
Cap Finistère, fare un altro breve stop prima di attraversare il Golfo di
Guascogna e ritornare infine a Les Sables. “J’ai vraiment envie de venir
remercier tous ceux qui m’ont suivie. Et puis c’est intéressant aussi pour les
Sablais de découvrir cette partie de l’aventure, pour un marin de revenir sous
gréement de fortune. En général, quand il y a des avaries comme ça, les bateaux
finissent en Australie ou ailleurs puis remontent souvent en cargo”. Il
successo non è definitivo, il fallimento non è fatale. Ed è così che in queste
ore Samantha sta vincendo di nuovo.
Elisa Govi
Fotografie di Octavio Passos e di Sam Davies