Andar per Isole.
-->La routine che più mi diverte della navigazione in Grecia è quella di svegliarmi relativamente presto, tuffarmi, fare colazione, aprire la carta nautica in compagnia di un bel caffè d’orzo fumante e decidere verso quale isola dirigermi, distano tutte poche miglia l’una dall’altra così che ci si può arrivare nel primo pomeriggio, quindi di nuovo tuffo, poi esplorazione dell’isola e cena alla trattoria caratteristica del porto o della chora. Deciso: Sifnos. Uscito dalla baia-laguna protetta il solito Beaufort sette con vento di bolina larga fino alla prossima isola a sole quindici miglia di distanza, ci arrivo come un razzo alla velocità costante di otto nodi. Questo si che è navigare!
Le Cicladi si sono già svuotate all’inizio di settembre, sono le 19,30 e a un bellissimo bar con affaccio sulla chora e il mare sono completamente da solo in compagnia di musica anni Ottanta, come quella di Bacharach. Bar e ristoranti sono tutti uno più bello dell’altro, come in ogni isola tutto è curato nei minimi particolari, i greci hanno conservato il gusto del bello della loro civiltà antica. Kastro: il nome di questo piccolissimo paese deriva dal castello (in greco kastro, appunto) che originariamente vi sorgeva (ovviamente veneziano), del quale sono visibili le mura del livello difensivo superiore, quelle del livello inferiore invece sono state inglobate nelle case, lo si vede bene percorrendo la strada che disegna la circonferenza interna. Al di fuori delle mura vedo una chiesetta abbarbicata su un promontorio più basso, a picco sul mare, raggiungibile con un sentiero di scale lastricate con pietre contornate da pittura bianca. Lo so, non mi sarei sorpreso se avessi letto prima una guida, ma è così bello andare alla scoperta di quello che c’è e lasciarmi sorprendere da quel che si trova. C’è anche un museo archeologico chiuso perché ormai non ci sono più turisti: con la corriera che ho preso io ne sono scesi solo una decina, tutti greci eccetto una coppia di francesi. Kamares: è il porto principale, era l’unico prima che venisse completato quello di Platys, dove approdano i traghetti, una località balneare molto frequentata pare in alta stagione, ora da pochi greci in vacanza, con molti bei ristoranti sul mare per tutti i gusti, dalla taverna caratteristica a quelli con sdraie, lanterne, musica soft. Vathi (termine con il quale i greci indicano i fiordi delle isole): a poche miglia da Platy Gialos, un’ora scarsa con il vento in poppa, eh si, viene da sud. Ma il Meltemi viene da nord, com’è possibile? Deciso, ci rinuncio, d’ora in poi controllo solo che non sia previsto Beaufort superiore a otto e parto!
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Diario, riflessioni, indicazioni utili e
consigli di Roberto Soldatini
Un navigatore solitario in Egeo
IV parte: Despotiko e Sifnos
Provenendo da
Serifos, aggiro la punta a sud di Despotiko, accosto orzando e devo risalire di
bolina, per fortuna avevo già ridotto le vele perché ovviamente sotto i rilievi
ci sono sempre raffiche molto più forti. Do fondo all’ancora vicino al Zadic di
Jean-Paul, e dopo un’oretta lo vedo arrivare sul suo tender insieme alla
compagna, Aliki. Che bello rivedere un amico dopo così tanto tempo. L’ultima
volta è stato alla festa di partenza nel pozzetto della mia barca ad Atene
l’anno scorso: nonostante nessuno mi volesse fare partire avevo deciso di
tornare a Roma a vela da solo con una gamba ingessata. E così ho fatto. La prima
cosa che mi dice salendo su Denecia è “I was so afraid last year for you”.
Jean-Paul, naturalmente francese, naturalmente biondo, di mezza età, è un
dottore che ha scelto il part-time verticale, cioè lavora tutto il giorno ma
solo sei mesi l’anno per passare gli altri sei in Grecia, un mito, all’età di
trenta anni ha attraversato l’Atlantico con una barca a vela di otto metri.
Dopo un decennio di girovagare per la Grecia ha eletto a domicilio per Zadic,
il suo Jeanneau 43, la baia di Despotiko, all’ancora.
Qui il fondale è buon
tenitore, la baia è protetta da tutti i venti, a nord è chiusa in parte da un
isolotto posto tra Despotiko e Antiparos, ma le onde non si infilano nei suoi
due stretti passaggi perché c’è una sorta di reef, il che fa di questa baia un
luogo piuttosto unico tra tutte le isole greche: una baia-laguna.
A ds. Una delle
spiagge incontaminate di Despotiko ha una particolare estensione verso
l’interno e le uniche orme che ci si possono trovare oggi sono le mie e quelle
di cavalli e capre. A un lato della spiaggia ombrelloni di legno e cannucce
messi dai greci per i turisti che vi si avventurano a piedi o approdando con
una barca, fantastico.
Tutt’attorno
ci sono bellissime spiagge, una in particolare: un lembo di sabbia che esce
dalla costa dalla quale si vede il tramonto sul reef. Certo sulla costa
dell’isola più grande e abitata, Antiparos, si vede qualche casa, sempre in
sintonia con l’architettura locale, di forma cubica, bianca, con le finestre
blu, ma su quella disabitata si è a contatto solo con la natura: spiagge
deserte, rilievi montuosi, macchia mediterranea, cavalli, capre, cani, un
pastore che torna ad Antiparos la sera con la sua barchetta e come unica
traccia di civiltà l’immancabile chiesetta bianca con il tetto a cupola
verniciato di azzurro. Prima notte spettacolare nella baia con la luna piena! I
greci danno molta importanza al secondo plenilunio di agosto (capita una volta ogni tre anni): ad Atene l’Acropoli e
tutti i siti archeologici si possono visitare la notte fino all’alba, concerti
un po’ ovunque, anche a Capo Sunio. Caspita come vorrei essere lì, ma leggo
l’invito dei miei amici di Atene solo ora. E’ notte, sono nel pozzetto, la luna
piena illumina la baia dove c’è solo Denecia e Zadic, nessun altro suono se non
quello della risacca sulle spiagge, un lieve rollio concilia il sonno... Mi
vengono forti dubbi che ciò non sia frutto di un sogno...
A sn. Una delle mie
spiagge favorite, un lembo che si protende verso la laguna dal quale si gode un
meraviglioso tramonto sul reef, fa da quinta un bellissimo catamarano
progettato da James Wharram, che dato il suo limitato pescaggio può ancorare a
ridosso della barriera.
Alcuni amici,
come Jean-Paul Blaro ed Ernesto Tross, fanno parte degli irriducibili
dell’ancoraggio in rada, io sarei molto propenso ma ai pro della tranquillità
ci sono alcuni svantaggi che per ora mi fanno preferire il porto, più che altro
per pigrizia: calare il gommone, montare il motore sul gommone, sperare che
parta (il mio si fa molto pregare), issarlo sulla barca prima di ripartire,
spostarsi dalla/alla barca sempre con il
gommne, preoccuparsi per la tenuta dell’ancora, mentre invece in porto sali e
scendi come e quante volte vuoi. Però se si tratta di una bella baia, come
questa, dove la mattina ti puoi fare un tuffo con gli occhi ancora chiusi per
svegliarti prima di colazione, allora... Per rimanere all’ancora e non
dipendere dai porti comunque sono abbastanza attrezzato. Per l’energia sfrutto
quella solare, con due pannelli da centoquindici watt l’uno che mantengono
cariche le batterie: due a dodici volt da centocinquanta watt per i servizi,
pur tenendo continuamente acceso il frigorifero nel quale però c’è poca roba:
frutta (caschi interi di banane che danno il giusto apporto di potassio in
navigazione), verdura, formaggi (Greci: buonissimi, oltre alla feta,
completamente diversa da quella che troviamo in Italia) fermenti in polvere per
fare lo yogurt con la macchinetta apposita. I miei pasti sono abbastanza
frugali e salutari, così da potermi poi sfogare quando trovo qualche trattoria
che mi attira, magari in compagnia di qualche amicizia fatta sul posto. Pieni
invece i gavoni-supermarket, dove ho stivato grandi quantità di tutto ciò che
non si trova in Grecia: latte di soia, orzo per il caffè, sciroppo di agave che
uso per zuccherare le bevande, tisane che sorseggio la sera per aiutare la mia
gastrite ereditaria ma soprattutto perché è un rito che mi piace. La colazione
quando navigo è sostanziosa perché c’è bisogno di calorie da potere bruciare:
pan carré integrale con la marmellata o il miele, cereali misti con frutta
secca, banana e talvolta anche qualcosa di salato, come uova o formaggio fresco
locale.
A sn. Il
sito archeologico di Despotiko non ancora aperto al pubblico e non ancora
fotografato: in evidenza le colonne (eccetto i capitelli si tratta di una
ricostruzione) di quello che sembra essere stato un tempio dedicato ad Apollo.
E come ti sbagli, qui i templi sono di Apollo e i castelli dei Veneziani!
Quello per cui mi voglio rendere autonomo il prossimo anno è il
rifornimento d’acqua, istallando un dissalatore, in modo che se riesco a
vincere la pigrizia posso darmi a lungo alla vita di rada. Al momento
scialacquando, è il caso di dirlo, cioè non facendo economia d’acqua, i due
serbatoi da duecentocinquanta litri l’uno mi bastano per una decina di giorni.
Cinquanta litri al giorno, quindi.
Ho quasi il
pieno d’acqua, penso che mi fermerò un po’ qui, sia per godere di questo
piccolo paradiso, sia perché Jean-Paul e Aliki hanno subito fatto un programma
di cose da fare a Despotiko a cui è impossibile resistere: un giro intorno
all’isola con il suo piccolo catamarano, ancora quello che gli regalò la madre
per i suoi diciotto anni, un Hobbiecat 16; un giro sull’isola a piedi, che è
disabitata, quindi senza strade e sentieri; una visita alla chora di Antiparos,
con la sua animata via principale e la piccola parte fortificata; oltre che
straordinari pranzi e cene all’albergo di Aliki, il Dolphin, davanti al mare:
molti orektikà perché sanno che li adoro, il migliore cheese cake mai mangiato,
cucinato da Aliki per me, ma anche piatti a base di pesce fresco pescato
dall’unico pescatore del posto, come la pasta alle aragoste, alla maniera
greca! Aliki mi spiega che gli orektikà sono così amati in primis dai greci
perché nel loro modo di essere non direbbero mai “mio”, è nella loro indole
condividere, per tanto anche a tavola preferiscono mettere al centro tanti piatti
dai quali scelgono e a volte mangiano direttamente quel che più preferiscono.
Al risveglio, dopo un tuffo dal “trampolino” di Denecia, sono atteso ogni
mattina per la prima colazione con Jean-Paul, Aliki e la mamma, Magda, una
donna di mezza età originaria del Peloponneso di vedute moderne e grande
cultura, ed è così che passo le mattinate, a parlare amabilmente con loro. Poi
un’intera giornata ad esplorare Despotiko: percorrendo a piedi l’isola si
incontrano solo capre, e cani, del pastore se ne vedono le tracce, come la
barca a remi ormeggiata al piccolo molo, ma non lo riesco ad incontrare. Il
sito archeologico dove è stato ritrovato un tempio dedicato ad Apollo è chiuso
da un recinto che però si scavalca facilmente.
Qui hanno trovato un vero tesoro che pare sia stato ricoperto, Magda conosce bene gli archeologi che vi stanno lavorando perché quando vengono sono ospiti del suo albergo, mi ha detto che è stato ricoperto per non privare le generazioni future di altre scoperte e/o perché bisogna trovare prima un posto dove metterle. La copertura di cemento in effetti è ben identificabile. L’arrampicata sul monte più alto si rivela più impegnativa di quella fatta a Serifos, prevalentemente con le mani, un vero climbing, ma essendo in due è meno rischioso. Forse. Conquistata la vetta si può vedere bene che Despotiko è un’isola totalmente incontaminata, con tante spiagge deserte.
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Qui hanno trovato un vero tesoro che pare sia stato ricoperto, Magda conosce bene gli archeologi che vi stanno lavorando perché quando vengono sono ospiti del suo albergo, mi ha detto che è stato ricoperto per non privare le generazioni future di altre scoperte e/o perché bisogna trovare prima un posto dove metterle. La copertura di cemento in effetti è ben identificabile. L’arrampicata sul monte più alto si rivela più impegnativa di quella fatta a Serifos, prevalentemente con le mani, un vero climbing, ma essendo in due è meno rischioso. Forse. Conquistata la vetta si può vedere bene che Despotiko è un’isola totalmente incontaminata, con tante spiagge deserte.
A ds. Geometrie di
gradini e bandierine alla chiesetta del Vathi (Sifnos) sembrano uscite da un
quadro di Escher.
-->La routine che più mi diverte della navigazione in Grecia è quella di svegliarmi relativamente presto, tuffarmi, fare colazione, aprire la carta nautica in compagnia di un bel caffè d’orzo fumante e decidere verso quale isola dirigermi, distano tutte poche miglia l’una dall’altra così che ci si può arrivare nel primo pomeriggio, quindi di nuovo tuffo, poi esplorazione dell’isola e cena alla trattoria caratteristica del porto o della chora. Deciso: Sifnos. Uscito dalla baia-laguna protetta il solito Beaufort sette con vento di bolina larga fino alla prossima isola a sole quindici miglia di distanza, ci arrivo come un razzo alla velocità costante di otto nodi. Questo si che è navigare!
Diverse
località da vedere su quest’isola, molte spiagge e più di una possibilità di
ormeggio, il tutto collegato da efficienti autobus: Platy Gialos è il porto
dove ormeggio, relativamente nuovo, completato tre anni fa, non segnalato dai
portolani, sicuro, molto piccolo ma molto efficiente. Sorpresa: tra gli oltre
quaranta porti dove sono approdato dall’anno scorso ad oggi in Grecia questo è
il primo dove si paga, pur una cifra irrisoria, tredici euro al giorno,
compresa acqua e luce. Vado nell’ufficio del giovane nostromo, Georgio, che mi
ha preso le cime per pagare e appena lo saluto si leva gli occhiali da sole per
parlare con me. Un segno di educazione che in Italia sono rimasto uno dei pochi
a rispettare, forse perché indossare gli occhiali da sole fa sentire più fichi,
anche dove non c’è il sole, anche all’interno di un locale. Nelle metropoli la
gente non si guarda più negli occhi... Apolonia (dal tempio di Apollo): la
località principale dell’isola, con una via pedonale in salita sulla quale si
concentra la sua vita, rappresenta un’eccezione per quanto riguarda gli orari
di apertura di negozi e bar: i negozianti fanno un “piccolo” pisolino e
riaprono alle 19.
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A sn. Le Cicladi a settembre si svuotano. E mi ritrovo
a passeggiare per le vie della chora di Sifnos da solo.
Le Cicladi si sono già svuotate all’inizio di settembre, sono le 19,30 e a un bellissimo bar con affaccio sulla chora e il mare sono completamente da solo in compagnia di musica anni Ottanta, come quella di Bacharach. Bar e ristoranti sono tutti uno più bello dell’altro, come in ogni isola tutto è curato nei minimi particolari, i greci hanno conservato il gusto del bello della loro civiltà antica. Kastro: il nome di questo piccolissimo paese deriva dal castello (in greco kastro, appunto) che originariamente vi sorgeva (ovviamente veneziano), del quale sono visibili le mura del livello difensivo superiore, quelle del livello inferiore invece sono state inglobate nelle case, lo si vede bene percorrendo la strada che disegna la circonferenza interna. Al di fuori delle mura vedo una chiesetta abbarbicata su un promontorio più basso, a picco sul mare, raggiungibile con un sentiero di scale lastricate con pietre contornate da pittura bianca. Lo so, non mi sarei sorpreso se avessi letto prima una guida, ma è così bello andare alla scoperta di quello che c’è e lasciarmi sorprendere da quel che si trova. C’è anche un museo archeologico chiuso perché ormai non ci sono più turisti: con la corriera che ho preso io ne sono scesi solo una decina, tutti greci eccetto una coppia di francesi. Kamares: è il porto principale, era l’unico prima che venisse completato quello di Platys, dove approdano i traghetti, una località balneare molto frequentata pare in alta stagione, ora da pochi greci in vacanza, con molti bei ristoranti sul mare per tutti i gusti, dalla taverna caratteristica a quelli con sdraie, lanterne, musica soft. Vathi (termine con il quale i greci indicano i fiordi delle isole): a poche miglia da Platy Gialos, un’ora scarsa con il vento in poppa, eh si, viene da sud. Ma il Meltemi viene da nord, com’è possibile? Deciso, ci rinuncio, d’ora in poi controllo solo che non sia previsto Beaufort superiore a otto e parto!
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A ds. Tornando alla fermata della corriera
all’ingresso del paese si scendono ripide scale bianche, sulle quali si trova
talvolta un tavolino per due, e incappo in un locale che mi incuriosisce più
degli altri: pieno di bottiglie vuote di room adagiate un po’ ovunque, tante
foto di Che Quevara, frasi scritte sui muri e il padrone vestito da improbabile
sessantottino.
Arrivando
dal mare si scorge l’ingresso solo quando vi si è difronte, perché è costituito
da una stretta spaccatura nelle rocce, al cui interno c’è un fiordo di forma
circolare. Dall’imboccatura vedo che ci sono diverse barche ormeggiate alla
fonda, mi toccherà anche a me, dal momento che sul molo c’è posto solo per tre
barche, colpa mia, stamane mi sono attardato facendo una lunga nuotata. Ma no! Appena
all’interno scorgo il molo: ci sono solo due barche, quindi c’è posto per
Denecia! Evidentemente la terza se n’è andata da poco. Poco dopo arriva una
quarta barca, lo skipper greco mi chiede se può legarsi alla mia, come non
permettere ad altri di approdare a questo paradiso: sul piccolo molo sorge una
chiesetta completamente bianca, a sinistra e a destra due bellissime e lunghe
spiagge di sabbia bianca, alcune taverne con i tavolini sulla spiaggia,
montagne tutt’intorno interrotte solo dall’imboccatura del fiordo. Appena
scendo mi rendo conto che si sta preparando qualcosa davanti alla piccola
chiesa, chiedo: la festa del patrono. Alcuni pope preparano l’allestimento per
la cerimonia, intanto la piccola corte aperta sul lato del molo comincia ad
affollarsi, poi da una casa in fondo alla spiaggia arriva una processione con
in testa il patriarca e una forma di pane portata in bella vista. Le campane
(vere, non registrate!) suonano a lungo prima che inizi la cerimonia che poi si
protrae fino a tardi. Non resisto ai morsi della fame (dopo un’ora di nuoto e
un’ora di navigazione!) così mi siedo a un tavolino sulla spiaggia a un metro
dal bagnasciuga, mangio dei buonissimi orektikà con i piedi quasi nell’acqua,
in compagnia degli immancabili gatti greci, ascoltando il canto dei pope e del
patriarca, con la vista della chiesa illuminata, del molo con la mia barca
ormeggiata, dei riflessi sull’acqua delle luci delle taverne e quelli dei
festoni della chiesa. Finita la cena, finita la cerimonia mi godo le danze tradizionali
greche suonate e ballate nella piccola corte della chiesa difronte al molo
stando seduto comodamente in pozzetto sorseggiando una tisana. Un vecchio greco
suona il violino con le dita non più agili e un po’ deformate, il viso scavato
dai tanti anni ma gli occhi vispi, accesi dalla musica, accompagnato da uno
strumento a pizzico da un uomo poco più giovane di lui e poi da un ragazzo. I
ritornelli suonati dal violino si alternano da quelli cantati, dal violinista
stesso e da tutti in coro, con l’accompagnamento costante del bouzouki. A dire
un po’ tutte uguali le canzoni, ma va bene, una festa tradizionale non per
turisti, ma per greci, di tutte le età, giovani che danzano con i vecchi passi
che sanno di antico. Solo in Grecia capita di assistere a questi spettacoli. Mi
addormento con i canti e le danze dei festeggiamenti che si protraggono fino a
notte fonda e mi sveglio con i canti liturgici della prima messa della mattina.
Salpo poco dopo, in rotta per le Piccole Cicladi, ci vediamo lì alla prossima
puntata.