L’ex stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e di Formica è una delle più grandi tonnare del Mediterraneo: circa trentaduemila metri quadrati di cui oltre tre quarti di superfici coperte con una serie di corti e spazi e ambienti diversi per dimensioni e destinazioni d’uso: uffici, magazzini, falegnameria, officine, spogliatoio per gli uomini e spogliatoio per le donne, magazzino militare, stiva, galleria delle macchine, trizzana e marfaraggio (per il ricovero delle barche), locali a servizio della lunga batteria di forni per la cottura del tonno e, svettanti su tutto, tre alte ciminiere. Funzionante fino agli anni ’60, fu acquisto nel 1990 dalla regione siciliana. I lavori di recupero e di restauro hanno rappresentato uno dei più significativi impegni affrontato dai tecnici della Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani. Un cammino interdisciplinare, durante il quale architetti, impiantisti, storici, con il supporto di antropologi, amministrativi, grafici, fotografi e studiosi si sono impegnati per restituirlo alle Egadi, e non solo.
Dopo più di mezzo secolo l’ex Stabilimento Florio è diventato il centro di un’offerta culturale che ha per temi i tanti aspetti della storia e dell’archeologia mediterranea. Dalle originali incisioni rupestri paleolitiche della Grotta di Cala del Genovese e i tonni dipinti nella stessa grotta alla fine del neolitico agli impianti punico-romani per la lavorazione del garum, la salsa di pesce. Un museo per farlo rivivere attraverso immagini, suoni, filmati ed istallazioni multimediali. Ma è anche luogo per riprodurre la cultura di oggi e di produrne di nuova basandosi sul connubio tra mare e società moderna: un centro d’informazione sul mare.
Le fotografie in bianco e nero sono di Maurizio Bizziccari, fanno parte di un reportage del 1981
e pubblicate nel 1985 in un picolo libro dal titolo La Regina delle Tonnare con un commento del giornalista Fabrizio Carbone, eccone una sintesi:
Le fotografie di Maurizio Bizziccari raccontano con l'assoluta bellezza del bianco e nero, la condizione attuale della Regina delle Tonnare lo stabilimento che, per quattro ettari e mezzo, si staglia in faccia al mare di Favignana. È questo un monumento alla pesca dei tonni che ha storia e cultura antica e che in un futuro prossimo tutti si augurano che venga recuperato per ricordare ai viaggiatori di tutto il mondo l'epopea dei tonnaroti siciliani…
…Ne venne fuori un insieme di spazi e di strutture, di archi e capriate, di vuoti e pieni che attingeva
alla tradizione spagnola da una parte e a quella rinascimentale dall'altra.
Le fotografie svelano ora questo capolavoro di archeologia industriale presentando lo stabilimento nel suo insieme e nei particolari, dal baglio, la corte interna, al malfaraggio, i locali per stivare tutti gli arnesi della mattanza, alla trizzana, dove si costruivano e si riparavano tutte le barche: dai grandi vasceddi, ai parascarmi, alle varcazze, i rimorchi, fino alle più umili bastarde.
“Era in condizioni disastrose – ricorda l’architetto Paola Misuraca direttrice della Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani, laureata a Palermo nel 1978, ha seguito un corso di specializzazione alla scuola di restauro di Roma, poi una borsa di studio in Beni Culturali infine assunta per concorso ai BC nel 1987 quando esisteva il ruolo speciale dei BC nell’amministrazione regionale – Il restauro, data l’enorme dimensione, richiedeva una disponibilità finanziaria che la Regione non avrebbe mai avuto che si è potuta reperire soltanto con i fondi europei.
Così fu presentato e finanziato il progetto per quasi 20 milioni di euro sul programma operativo regionale (POR) 2000/2006 che si è concluso nel 2009 con una spesa certificata di 14,6 milioni di euro. I numeri parlano da soli: superficie oggetto d’intervento mq 19.848, superfici di coperture ripristinate 9.000 mq; 27.500 mq di superfici parietali restaurate; circa 16.759 mq di pavimentazioni; 350 mc di legname impiegati per capriate ed orditure, 53.000 ml di cavi elettrici, oltre ai materiali per l’edilizia.
Un progetto, nato tutto all’interno della Soprintendenza, a firma dell’architetto Stefano Biondo che ha avuto la direzione dei lavori fino a quando si è dimesso per motivi personali passandomi così il testimone, mi sono subito trovata a mio agio, afferma, non è stato un problema trattare con una ciurma di uomini. Il problema vero è stato affrontare un lavoro così impegnativo e così complesso soprattutto per le caratteristiche strutturali degli edifici, per i materiali e dovere lavorare in un ambiente difficile per la gestione degli agenti atmosferici. Il mio essere donna non ha comportato nessuna differenza, anzi. Fondamentale è stata la mia esperienza di architetto, 25 anni totalmente a servizio dell’amministrazione dei beni culturali in campi che hanno spaziato dalla catalogazione, la pianificazione paesaggistica, il restauro dei monumenti, tutto l’arco delle attività riconducibili comunque alle attività degli architetti nell’amministrazione beni culturali. Mi sento particolarmente fortunata sotto questo punto di vista. Ora come Soprintendente a Trapani sono particolarmente felice, perché ritengo che questo territorio sia straordinario. Il mio lavoro sia nel campo della tutela del paesaggio, sia nel restauro dei monumenti e sia per tutto quello che è la competenza della Soprintendenza anche in materia di tutela archeologica, etno-antropologica e così via abbia particolarmente senso perché i valori sono ancora ben presenti e ben conservati.
Abbiamo altri progetti, anche questi sui fondi europei, che privilegiano ancora i beni costieri come la ex tonnara di Torre in collaborazione con il CNR; su Favignana cercheremo di completare gli allestimenti e di affrontare il restauro delle altre parti dello stabilimento che sono rimaste fuori dal restauro e poi vari altri interventi nella provincia importanti e rilevanti anche se di minore importanza dal punto di vista economico.
Ho sentito parlare di molte idee su come utilizzare gli spazi dello stabilimento, ma io ritengo che prima di destinare una spazio occorre che ci sia l’istituto universitario, o la fondazione o l’ente che comunque abbia una sua attività da allocare poi decorosamente. Ci sono varie ipotesi di destinazione d’uso degli spazi, tenendo conto però che grande parte della tonnara è stata allestita e destinata ad attività museali, restano ancora degli spazi che dovremmo soprattutto parlarne con l’Assessorato di competenza perché non sono decisioni che può prendere soltanto la Soprintendenza. Si tratta di stabilire le più opportune destinazioni d’uso in funzione anche della possibilità che la tonnara sia in grado di automantenersi per sostenere i costi di manutenzione e di gestione.
Tengo a sottolineare che quando lo stabilimento è tornato a nuova vita, lo abbiamo dedicato alle lavoratrici e ai lavoratori che l’hanno reso famoso. Per tutti noi Favignana è importantissima perché è un monumento di Storia un monumento di Architettura e soprattutto un monumento al Lavoro. E questo vorremmo che fosse sempre presente.”
La storia dello stabilimento, a cura di Rosario Lentini
La genesi del più importante e moderno stabilimento industriale del Mediterraneo per la lavorazione del tonno, costruito nella seconda metà dell’800 per iniziativa del senatore Ignazio Florio (1838-91), è comprensibile pienamente se si focalizzano alcuni aspetti che non attengono solo al complesso di attività poste in essere dalla più prestigiosa dinastia di borghesi imprenditori siciliani nei settori commerciale, industriale e finanziario, lungo tutto il secolo XIX. Basti ampliare il campo di osservazione e di indagine, infatti, per rendersi conto di quanto siano antiche e profonde le radici delloStabilimento e di quanto sia stato rischioso assumere la decisionedi costruirlo.
L’andamento della produttività delle tonnare delle Egadi, la creazione di un insediamento abitativo a Favignana sin dal XVII secolo, la progressiva formazione, generazione dopo generazione, di una cospicua forza lavoro “specializzata” (raisi, sottopadroni, faratici, muxiari, semplici tonnaroti), in grado di assicurare lo svolgimento del ciclo produttivo, dalla cattura dei grandi cetacei alla lavorazione del pescato, la forte concorrenza interna e internazionale per il controllo dei principali siti di pesca del Mediterraneo, rappresentano solo alcuni dei temi da considerare nella ricostruzione delle origini e della storia del grandioso complesso industriale. L’acquisto delle isole (tonnare incluse), nel 1874, dai proprietari genovesi Pallavicini, al prezzo convenuto in contratto di 2.750.000 lire, non fu indotto da megalomania, né dettato da esigenze di status simbol del senatore, bensì rappresentò un traguardo nella strategia familiare ottocentesca. La gestione in gabella di diversi impianti di pesca siciliani – Vergine Maria, Arenella, Isola delle Femmine, Marzamemi, Favignana e Formica – era stata sperimentata ripetutamente in passato, con alterne fortune, sia dal padre che dallo zio di Ignazio Florio. Tuttavia, rispetto all’esperimento di semplice conduzione in affitto delle tonnare delle Egadi compiuto dal padre, don Vincenzo, nel periodo 1841-59, è innegabile che il salto di qualità del 1874 sia stato rilevante sotto ogni profilo.
Il primo nucleo dello Stabilimento – il cosiddetto edificio “Torino” – era stato costruito sul versante opposto a quello sul quale sorgevano gli antichi edifici (marfaraggio), per iniziativa del gabelloto genovese Giulio Drago che, dal 1860, aveva preso in esercizio gli impianti, dopo la rinuncia di Vincenzo Florio. Era già nelle intenzioni del Drago trasferire le attività più propriamente industriali in un’area lontana dal centro abitato, in nuovi locali per il confezionamento del tonno in barili sotto sale e in scatole di latta sott’olio. Solo dopo l’arrivo di Ignazio Florio, nuovo proprietario delle Egadi, a quel corpo di fabbrica si aggiunsero, tra il 1881 e il 1889, i grandiosi magazzini, le sale di confezionamento del pescato e le strutture di servizio per tutti gli addetti, oltre ad una vasta area aperta – denominata camposanto – destinata all’essiccazione delle teste dei tonni, per ricavarne olio per uso industriale. Fino alla metà degli anni settanta dell’800, il senatore si era avvalso dell’architetto Giuseppe Damiani Almeyda per committenze di lavori da svolgere a Palermo e per la progettazione del palazzo di villeggiatura a Favignana.
Dall’inizio del successivo decennio, invece, il nuovo artefice delle opere da realizzare nelle isole, per conto di Casa Florio divenne l’ingegnere Filippo La Porta, il quale aveva già diretto i lavori dell’edificio padronale favignanese, in assenza del Damiani Almeyda. Quattro grandi tavole di progetto acquerellate, firmate dal La Porta, furono esibite nel 1891 all’Esposizione Nazionale di Palermo, per illustrare non soltanto le dimensioni, la struttura e la funzionalità degli ambienti, ma anche la correlazione tra tipologia architettonica e nuovo modello industriale. Ignazio Florio affidò la gestione dello Stabilimento a Gaetano Caruso, il più valido dei suoi amministratori: «…egli è il direttore, l’organizzatore, il creatore dello stabilimento, […] non è un semplice amministratore, che si limita ad impiegare le cure di un buon padre di famiglia pel regolare andamento della cosa amministrata […] e sospinto da una passione ardente per lo sviluppo di una industria,che può dirsi sua creazione, egli ne studia con amore indefesso l’organismo, così nei suoi più minuti dettagli come nel suo complesso, ne perfeziona i congegni, ne invigila con instancabile alacrità tutti i movimenti, moltiplicandosi, presenziandotutto, perché rinvigorito dalla potenza della sua ferrea volontà» (da La Settimana commerciale e industriale, 15 maggio 1892).
In questa nuova e moderna realtà produttiva, di molto somigliante alle cittadelle operaie continentali, si riuscì a organizzare un ciclo lavorativo che coinvolgeva alcune centinaia di addetti: «Buttati i pesci dalla barca nell’acqua della spiaggia, vengono immediatamente uncinati in un occhio, legati con corda alla coda, tirati nello sbarcatoio e disposti in tre ordini simettrici. Appena formata la prima fila, sei operai con un’accetta fanno in un attimo quattro tagli: uno per tagliare la testa, la quale vien subito portata via, due trasversali ed uno longitudinale per estrarre le interiora, le quali da un altro operaio, che accorre istantaneamente con un mastello, vengono portate in apposito locale. Appena sventrato il pesce, vien posto sulle robuste spalle di un uomo, il quale lo trasporta in magazzini dal tetto basso da cui pendono innumerevoli corde, alle quali i tonni vengono appiccati per la coda, perché ne possa colare il sangue per parecchie ore. […] Una serie di magazzini è destinata al riempimento delle scatole ed alla conservazione dei prodotti. L’intero stabilimento è illuminato a gas, la cui forza motrice viene utilizzata per estrarre l’acqua da un pozzo e per altri usi» (da La Settimana ecc. cit.).
Il tonno tagliato a pezzi veniva cotto in 24 grandi caldaie e, successivamente, posto ad asciugare in ceste di ferro collocate in magazzini ben ventilati. In un altro ampio locale si effettuava la
lavorazione delle latte, mediante utilizzo di macchine e saldatrici. Alla citata Esposizione del 1891-92, Casa Florio, nel proprio padiglione dedicato alla pesca del tonno, presentò tarantello e ventresca nelle innovative scatolette di latta con apertura a chiave. Con la costruzione dello Stabilimento, il rinnovato impulso dato alla pesca e alla commercializzazione del pregiato prodotto, sui principali mercati nazionali e stranieri, fu ampiamente ripagato dal successo, in termini di immagine e di profitto. E anche quando, nei primi decenni del ‘900, le sorti di quello che era stato il più importante gruppo industriale e finanziario siciliano apparivano segnate, lo Stabilimento Florio, pienamente attivo e produttivo, sopravvisse al fallimento della dinastia imprenditoriale, passando,
a fine anni trenta, prima nel novero delle aziende di proprietà dell’I.R.I, poi nelle mani degli industriali genovesi Parodi e da questi, infine, alla Regione Siciliana.
Gli Spazi Museali
EX STIVA
“Torino”, video-installazione a cura di Renato Alongi (credit Renato Alongi, Rosario Riginella, Massimo Mantia, Bruno Fundarò, Patrizia Cirino, Marco Scirè, Gianni Gebbia, Vitalba Liotti)
La video-installazione “Torino”, nasce da un progetto di raccolta di testimonianze orali presentate in forma visiva, condotto tra un gruppo di anziani operai dello stabilimento Florio di Favignana. L’installazione abitata da 18 autori-protagonisti e altrettante pratiche narrative (conversazioni, discorsi, rappresentazioni) è un’opera tesa a costruire unospazio entro cui è possibile esplorare dei mondi d’esperienza(raccontati a voce, narrati) su celluloide digitale. Microcosmi di pochi secondi che hanno lo spessore semantico di precise memorie. Intensi primi piani, visi tesi, mezzi (accenno di) sorrisi, sguardi. Sguardi fieri, indagatori, beffardi che senza necessità di ulteriori spiegazioni, dispiegano gesti e parole in grado di restituire il senso dei discorsi avvenuti davanti alla telecamera.
EX MAGAZZINI CONFEZIONAMENTO
Antiquarium. La collezione archeologica esposta comprende principalmente anfore di varia epoca (greco-romana e punica) provenienti dal mare delle Egadi. Sono presenti anche ceppi di ancore greco-romane e puniche in piombo tra cui ne ricordiamo uno, del tipo mobile (cioè smontabile) che reca su un braccio in rilievo l’iscrizione in greco EUPLOIA che significa “Buona navigazione” e che simbolicamente proteggeva l’imbarcazione da possibili disastri. Tra i reperti particolari segnaliamo
anche una fiasca in peltro del XIV secolo rinvenuta nelle acque del Bue Marino a Favignana che conteneva ancora il vino originale. Tra i reperti più interessanti spicca un esemplare rarissimo di rostro bronzeo recuperato nelle acque a Nord-Ovest di Levanzo. Si tratta dell’arma letale che gli antichi usavano per colpire le navi nemiche e che ebbe un ruolo determinante nella vittoria romana il 10 marzo del 241 a.C. quando nel mare di Levanzo cessò la prima guerra punica
con i Romani vittoriosi sulla flotta cartaginese.
EX MAGAZZIN0 DELLA TRIZZANA_EX SPOGLIATOIO DONNE
Mostra permanente di fotografie d’autore della collezione dell’ex Stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica
Fotografie di René Burri, Leonard Freed, Herbert List, Sebastião Salgado, Ferdinando Scianna
Negli ex magazzini della trizzana è allestita la prima sezione della mostra permanente, dedicata a Herbert List. La collezione comprende l’intero reportage fotografico composto da
35 stampe fotografiche moderne in bianco nero curate dall’Estate List, realizzato a Favignana nel 1951, durante la campagna di pesca della mattanza e della lavorazione dei tonni.
Le immagini sono inoltre corredate da un testo narrativo scritto da List durante la sua permanenza a Favignana. Nell’ex spogliatoio delle donne è allestita la seconda sezione della mostra permanente, comprendende le opere fotografiche in bianco nero di Sebastião Salgado, della serie Workers, realizzate a Favignana agli inizi anni novanta, di René Burri che ritraggono la tonnara negli anni Cinquanta, le opere degli anni Settanta di Leonard Freed e quelle a colori degli anni Ottanta di Ferdinando Scianna.
EX MAGAZZINI DEL CARBONE
“The death room”, video-installazione a cura di Renato Alongi (credit Renato Alongi, Rosario Riginella, Massimo Mantia, Gianni Gebbia)
All’interno degli ex magazzini del carbone si sviluppa la video-installazione “The death room”, una sequenza di schermi di grande formato in tulle a maglia larga, che prende
spunto, come citazione, dallo schema della camera della morte. Su questi schermi vengono proiettate in loop immagini subacquee di branchi di tonni in attesa del loro destino che si ripete nei secoli e di cui adesso ne resta solo la memoria. Gli spazi sono avvolti da una composizione musicale liquida
di Gianni Gebbia. Di riverbo, dalla superficie, arrivano in lontananza i canti ritmici, le cialome, le nenie dei tonnaroti già pronti ad alzare le reti. Gli schermi in tulle bianco, in
sequenza, lasciano trasparire le varie immagini che si sovrappongono e si compenetrano, e in parte si proiettano sulle pareti in tufo a faccia vista degli antichi magazzini del carbone, il quale, quest’ultimo, serviva ad alimentare i forni per la cottura del tonno.
EX MAGAZZINI DEL SALE
La pesca del tonno 1924-31 produzione Istituto Nazionale Luce lingua italiana, durata 31' 42", b/n (originale muto) Musiche e sonorizzazioni di Gianni Gebbia (2009)
Un documentario inedito girato tra il 1924 e il 1931 dall’allora Istituto Nazionale Luce, capace di aver messo a fuoco cultura materiale (cicli produttivi) e immateriale della pesca del tonno (pratiche incorporate e saperi pratici). Documento poetico dell’era del muto e sonorità contemporanee di Gianni Gebbia, provocano insieme un estraniamento che gioca per dissonanza.
Dopo più di mezzo secolo l’ex Stabilimento Florio è diventato il centro di un’offerta culturale che ha per temi i tanti aspetti della storia e dell’archeologia mediterranea. Dalle originali incisioni rupestri paleolitiche della Grotta di Cala del Genovese e i tonni dipinti nella stessa grotta alla fine del neolitico agli impianti punico-romani per la lavorazione del garum, la salsa di pesce. Un museo per farlo rivivere attraverso immagini, suoni, filmati ed istallazioni multimediali. Ma è anche luogo per riprodurre la cultura di oggi e di produrne di nuova basandosi sul connubio tra mare e società moderna: un centro d’informazione sul mare.
Le fotografie in bianco e nero sono di Maurizio Bizziccari, fanno parte di un reportage del 1981
e pubblicate nel 1985 in un picolo libro dal titolo La Regina delle Tonnare con un commento del giornalista Fabrizio Carbone, eccone una sintesi:
Le fotografie di Maurizio Bizziccari raccontano con l'assoluta bellezza del bianco e nero, la condizione attuale della Regina delle Tonnare lo stabilimento che, per quattro ettari e mezzo, si staglia in faccia al mare di Favignana. È questo un monumento alla pesca dei tonni che ha storia e cultura antica e che in un futuro prossimo tutti si augurano che venga recuperato per ricordare ai viaggiatori di tutto il mondo l'epopea dei tonnaroti siciliani…
…Ne venne fuori un insieme di spazi e di strutture, di archi e capriate, di vuoti e pieni che attingeva
alla tradizione spagnola da una parte e a quella rinascimentale dall'altra.
Le fotografie svelano ora questo capolavoro di archeologia industriale presentando lo stabilimento nel suo insieme e nei particolari, dal baglio, la corte interna, al malfaraggio, i locali per stivare tutti gli arnesi della mattanza, alla trizzana, dove si costruivano e si riparavano tutte le barche: dai grandi vasceddi, ai parascarmi, alle varcazze, i rimorchi, fino alle più umili bastarde.
“Era in condizioni disastrose – ricorda l’architetto Paola Misuraca direttrice della Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani, laureata a Palermo nel 1978, ha seguito un corso di specializzazione alla scuola di restauro di Roma, poi una borsa di studio in Beni Culturali infine assunta per concorso ai BC nel 1987 quando esisteva il ruolo speciale dei BC nell’amministrazione regionale – Il restauro, data l’enorme dimensione, richiedeva una disponibilità finanziaria che la Regione non avrebbe mai avuto che si è potuta reperire soltanto con i fondi europei.
Così fu presentato e finanziato il progetto per quasi 20 milioni di euro sul programma operativo regionale (POR) 2000/2006 che si è concluso nel 2009 con una spesa certificata di 14,6 milioni di euro. I numeri parlano da soli: superficie oggetto d’intervento mq 19.848, superfici di coperture ripristinate 9.000 mq; 27.500 mq di superfici parietali restaurate; circa 16.759 mq di pavimentazioni; 350 mc di legname impiegati per capriate ed orditure, 53.000 ml di cavi elettrici, oltre ai materiali per l’edilizia.
Un progetto, nato tutto all’interno della Soprintendenza, a firma dell’architetto Stefano Biondo che ha avuto la direzione dei lavori fino a quando si è dimesso per motivi personali passandomi così il testimone, mi sono subito trovata a mio agio, afferma, non è stato un problema trattare con una ciurma di uomini. Il problema vero è stato affrontare un lavoro così impegnativo e così complesso soprattutto per le caratteristiche strutturali degli edifici, per i materiali e dovere lavorare in un ambiente difficile per la gestione degli agenti atmosferici. Il mio essere donna non ha comportato nessuna differenza, anzi. Fondamentale è stata la mia esperienza di architetto, 25 anni totalmente a servizio dell’amministrazione dei beni culturali in campi che hanno spaziato dalla catalogazione, la pianificazione paesaggistica, il restauro dei monumenti, tutto l’arco delle attività riconducibili comunque alle attività degli architetti nell’amministrazione beni culturali. Mi sento particolarmente fortunata sotto questo punto di vista. Ora come Soprintendente a Trapani sono particolarmente felice, perché ritengo che questo territorio sia straordinario. Il mio lavoro sia nel campo della tutela del paesaggio, sia nel restauro dei monumenti e sia per tutto quello che è la competenza della Soprintendenza anche in materia di tutela archeologica, etno-antropologica e così via abbia particolarmente senso perché i valori sono ancora ben presenti e ben conservati.
Abbiamo altri progetti, anche questi sui fondi europei, che privilegiano ancora i beni costieri come la ex tonnara di Torre in collaborazione con il CNR; su Favignana cercheremo di completare gli allestimenti e di affrontare il restauro delle altre parti dello stabilimento che sono rimaste fuori dal restauro e poi vari altri interventi nella provincia importanti e rilevanti anche se di minore importanza dal punto di vista economico.
Ho sentito parlare di molte idee su come utilizzare gli spazi dello stabilimento, ma io ritengo che prima di destinare una spazio occorre che ci sia l’istituto universitario, o la fondazione o l’ente che comunque abbia una sua attività da allocare poi decorosamente. Ci sono varie ipotesi di destinazione d’uso degli spazi, tenendo conto però che grande parte della tonnara è stata allestita e destinata ad attività museali, restano ancora degli spazi che dovremmo soprattutto parlarne con l’Assessorato di competenza perché non sono decisioni che può prendere soltanto la Soprintendenza. Si tratta di stabilire le più opportune destinazioni d’uso in funzione anche della possibilità che la tonnara sia in grado di automantenersi per sostenere i costi di manutenzione e di gestione.
Tengo a sottolineare che quando lo stabilimento è tornato a nuova vita, lo abbiamo dedicato alle lavoratrici e ai lavoratori che l’hanno reso famoso. Per tutti noi Favignana è importantissima perché è un monumento di Storia un monumento di Architettura e soprattutto un monumento al Lavoro. E questo vorremmo che fosse sempre presente.”
La storia dello stabilimento, a cura di Rosario Lentini
La genesi del più importante e moderno stabilimento industriale del Mediterraneo per la lavorazione del tonno, costruito nella seconda metà dell’800 per iniziativa del senatore Ignazio Florio (1838-91), è comprensibile pienamente se si focalizzano alcuni aspetti che non attengono solo al complesso di attività poste in essere dalla più prestigiosa dinastia di borghesi imprenditori siciliani nei settori commerciale, industriale e finanziario, lungo tutto il secolo XIX. Basti ampliare il campo di osservazione e di indagine, infatti, per rendersi conto di quanto siano antiche e profonde le radici delloStabilimento e di quanto sia stato rischioso assumere la decisionedi costruirlo.
L’andamento della produttività delle tonnare delle Egadi, la creazione di un insediamento abitativo a Favignana sin dal XVII secolo, la progressiva formazione, generazione dopo generazione, di una cospicua forza lavoro “specializzata” (raisi, sottopadroni, faratici, muxiari, semplici tonnaroti), in grado di assicurare lo svolgimento del ciclo produttivo, dalla cattura dei grandi cetacei alla lavorazione del pescato, la forte concorrenza interna e internazionale per il controllo dei principali siti di pesca del Mediterraneo, rappresentano solo alcuni dei temi da considerare nella ricostruzione delle origini e della storia del grandioso complesso industriale. L’acquisto delle isole (tonnare incluse), nel 1874, dai proprietari genovesi Pallavicini, al prezzo convenuto in contratto di 2.750.000 lire, non fu indotto da megalomania, né dettato da esigenze di status simbol del senatore, bensì rappresentò un traguardo nella strategia familiare ottocentesca. La gestione in gabella di diversi impianti di pesca siciliani – Vergine Maria, Arenella, Isola delle Femmine, Marzamemi, Favignana e Formica – era stata sperimentata ripetutamente in passato, con alterne fortune, sia dal padre che dallo zio di Ignazio Florio. Tuttavia, rispetto all’esperimento di semplice conduzione in affitto delle tonnare delle Egadi compiuto dal padre, don Vincenzo, nel periodo 1841-59, è innegabile che il salto di qualità del 1874 sia stato rilevante sotto ogni profilo.
Il primo nucleo dello Stabilimento – il cosiddetto edificio “Torino” – era stato costruito sul versante opposto a quello sul quale sorgevano gli antichi edifici (marfaraggio), per iniziativa del gabelloto genovese Giulio Drago che, dal 1860, aveva preso in esercizio gli impianti, dopo la rinuncia di Vincenzo Florio. Era già nelle intenzioni del Drago trasferire le attività più propriamente industriali in un’area lontana dal centro abitato, in nuovi locali per il confezionamento del tonno in barili sotto sale e in scatole di latta sott’olio. Solo dopo l’arrivo di Ignazio Florio, nuovo proprietario delle Egadi, a quel corpo di fabbrica si aggiunsero, tra il 1881 e il 1889, i grandiosi magazzini, le sale di confezionamento del pescato e le strutture di servizio per tutti gli addetti, oltre ad una vasta area aperta – denominata camposanto – destinata all’essiccazione delle teste dei tonni, per ricavarne olio per uso industriale. Fino alla metà degli anni settanta dell’800, il senatore si era avvalso dell’architetto Giuseppe Damiani Almeyda per committenze di lavori da svolgere a Palermo e per la progettazione del palazzo di villeggiatura a Favignana.
Dall’inizio del successivo decennio, invece, il nuovo artefice delle opere da realizzare nelle isole, per conto di Casa Florio divenne l’ingegnere Filippo La Porta, il quale aveva già diretto i lavori dell’edificio padronale favignanese, in assenza del Damiani Almeyda. Quattro grandi tavole di progetto acquerellate, firmate dal La Porta, furono esibite nel 1891 all’Esposizione Nazionale di Palermo, per illustrare non soltanto le dimensioni, la struttura e la funzionalità degli ambienti, ma anche la correlazione tra tipologia architettonica e nuovo modello industriale. Ignazio Florio affidò la gestione dello Stabilimento a Gaetano Caruso, il più valido dei suoi amministratori: «…egli è il direttore, l’organizzatore, il creatore dello stabilimento, […] non è un semplice amministratore, che si limita ad impiegare le cure di un buon padre di famiglia pel regolare andamento della cosa amministrata […] e sospinto da una passione ardente per lo sviluppo di una industria,che può dirsi sua creazione, egli ne studia con amore indefesso l’organismo, così nei suoi più minuti dettagli come nel suo complesso, ne perfeziona i congegni, ne invigila con instancabile alacrità tutti i movimenti, moltiplicandosi, presenziandotutto, perché rinvigorito dalla potenza della sua ferrea volontà» (da La Settimana commerciale e industriale, 15 maggio 1892).
In questa nuova e moderna realtà produttiva, di molto somigliante alle cittadelle operaie continentali, si riuscì a organizzare un ciclo lavorativo che coinvolgeva alcune centinaia di addetti: «Buttati i pesci dalla barca nell’acqua della spiaggia, vengono immediatamente uncinati in un occhio, legati con corda alla coda, tirati nello sbarcatoio e disposti in tre ordini simettrici. Appena formata la prima fila, sei operai con un’accetta fanno in un attimo quattro tagli: uno per tagliare la testa, la quale vien subito portata via, due trasversali ed uno longitudinale per estrarre le interiora, le quali da un altro operaio, che accorre istantaneamente con un mastello, vengono portate in apposito locale. Appena sventrato il pesce, vien posto sulle robuste spalle di un uomo, il quale lo trasporta in magazzini dal tetto basso da cui pendono innumerevoli corde, alle quali i tonni vengono appiccati per la coda, perché ne possa colare il sangue per parecchie ore. […] Una serie di magazzini è destinata al riempimento delle scatole ed alla conservazione dei prodotti. L’intero stabilimento è illuminato a gas, la cui forza motrice viene utilizzata per estrarre l’acqua da un pozzo e per altri usi» (da La Settimana ecc. cit.).
Il tonno tagliato a pezzi veniva cotto in 24 grandi caldaie e, successivamente, posto ad asciugare in ceste di ferro collocate in magazzini ben ventilati. In un altro ampio locale si effettuava la
lavorazione delle latte, mediante utilizzo di macchine e saldatrici. Alla citata Esposizione del 1891-92, Casa Florio, nel proprio padiglione dedicato alla pesca del tonno, presentò tarantello e ventresca nelle innovative scatolette di latta con apertura a chiave. Con la costruzione dello Stabilimento, il rinnovato impulso dato alla pesca e alla commercializzazione del pregiato prodotto, sui principali mercati nazionali e stranieri, fu ampiamente ripagato dal successo, in termini di immagine e di profitto. E anche quando, nei primi decenni del ‘900, le sorti di quello che era stato il più importante gruppo industriale e finanziario siciliano apparivano segnate, lo Stabilimento Florio, pienamente attivo e produttivo, sopravvisse al fallimento della dinastia imprenditoriale, passando,
a fine anni trenta, prima nel novero delle aziende di proprietà dell’I.R.I, poi nelle mani degli industriali genovesi Parodi e da questi, infine, alla Regione Siciliana.
Gli Spazi Museali
EX STIVA
“Torino”, video-installazione a cura di Renato Alongi (credit Renato Alongi, Rosario Riginella, Massimo Mantia, Bruno Fundarò, Patrizia Cirino, Marco Scirè, Gianni Gebbia, Vitalba Liotti)
La video-installazione “Torino”, nasce da un progetto di raccolta di testimonianze orali presentate in forma visiva, condotto tra un gruppo di anziani operai dello stabilimento Florio di Favignana. L’installazione abitata da 18 autori-protagonisti e altrettante pratiche narrative (conversazioni, discorsi, rappresentazioni) è un’opera tesa a costruire unospazio entro cui è possibile esplorare dei mondi d’esperienza(raccontati a voce, narrati) su celluloide digitale. Microcosmi di pochi secondi che hanno lo spessore semantico di precise memorie. Intensi primi piani, visi tesi, mezzi (accenno di) sorrisi, sguardi. Sguardi fieri, indagatori, beffardi che senza necessità di ulteriori spiegazioni, dispiegano gesti e parole in grado di restituire il senso dei discorsi avvenuti davanti alla telecamera.
EX MAGAZZINI CONFEZIONAMENTO
Antiquarium. La collezione archeologica esposta comprende principalmente anfore di varia epoca (greco-romana e punica) provenienti dal mare delle Egadi. Sono presenti anche ceppi di ancore greco-romane e puniche in piombo tra cui ne ricordiamo uno, del tipo mobile (cioè smontabile) che reca su un braccio in rilievo l’iscrizione in greco EUPLOIA che significa “Buona navigazione” e che simbolicamente proteggeva l’imbarcazione da possibili disastri. Tra i reperti particolari segnaliamo
anche una fiasca in peltro del XIV secolo rinvenuta nelle acque del Bue Marino a Favignana che conteneva ancora il vino originale. Tra i reperti più interessanti spicca un esemplare rarissimo di rostro bronzeo recuperato nelle acque a Nord-Ovest di Levanzo. Si tratta dell’arma letale che gli antichi usavano per colpire le navi nemiche e che ebbe un ruolo determinante nella vittoria romana il 10 marzo del 241 a.C. quando nel mare di Levanzo cessò la prima guerra punica
con i Romani vittoriosi sulla flotta cartaginese.
EX MAGAZZIN0 DELLA TRIZZANA_EX SPOGLIATOIO DONNE
Mostra permanente di fotografie d’autore della collezione dell’ex Stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica
Fotografie di René Burri, Leonard Freed, Herbert List, Sebastião Salgado, Ferdinando Scianna
Negli ex magazzini della trizzana è allestita la prima sezione della mostra permanente, dedicata a Herbert List. La collezione comprende l’intero reportage fotografico composto da
35 stampe fotografiche moderne in bianco nero curate dall’Estate List, realizzato a Favignana nel 1951, durante la campagna di pesca della mattanza e della lavorazione dei tonni.
Le immagini sono inoltre corredate da un testo narrativo scritto da List durante la sua permanenza a Favignana. Nell’ex spogliatoio delle donne è allestita la seconda sezione della mostra permanente, comprendende le opere fotografiche in bianco nero di Sebastião Salgado, della serie Workers, realizzate a Favignana agli inizi anni novanta, di René Burri che ritraggono la tonnara negli anni Cinquanta, le opere degli anni Settanta di Leonard Freed e quelle a colori degli anni Ottanta di Ferdinando Scianna.
EX MAGAZZINI DEL CARBONE
“The death room”, video-installazione a cura di Renato Alongi (credit Renato Alongi, Rosario Riginella, Massimo Mantia, Gianni Gebbia)
All’interno degli ex magazzini del carbone si sviluppa la video-installazione “The death room”, una sequenza di schermi di grande formato in tulle a maglia larga, che prende
spunto, come citazione, dallo schema della camera della morte. Su questi schermi vengono proiettate in loop immagini subacquee di branchi di tonni in attesa del loro destino che si ripete nei secoli e di cui adesso ne resta solo la memoria. Gli spazi sono avvolti da una composizione musicale liquida
di Gianni Gebbia. Di riverbo, dalla superficie, arrivano in lontananza i canti ritmici, le cialome, le nenie dei tonnaroti già pronti ad alzare le reti. Gli schermi in tulle bianco, in
sequenza, lasciano trasparire le varie immagini che si sovrappongono e si compenetrano, e in parte si proiettano sulle pareti in tufo a faccia vista degli antichi magazzini del carbone, il quale, quest’ultimo, serviva ad alimentare i forni per la cottura del tonno.
EX MAGAZZINI DEL SALE
La pesca del tonno 1924-31 produzione Istituto Nazionale Luce lingua italiana, durata 31' 42", b/n (originale muto) Musiche e sonorizzazioni di Gianni Gebbia (2009)
Un documentario inedito girato tra il 1924 e il 1931 dall’allora Istituto Nazionale Luce, capace di aver messo a fuoco cultura materiale (cicli produttivi) e immateriale della pesca del tonno (pratiche incorporate e saperi pratici). Documento poetico dell’era del muto e sonorità contemporanee di Gianni Gebbia, provocano insieme un estraniamento che gioca per dissonanza.