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Roberto Soldatini a bordo del Denecia II |
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Il Denecia II ormeggiato in darsena a Fiumicino |
Ma sul momento non me ne sono reso conto pienamente: ho vissuto tutto con molta naturalezza, forse perché ero giovane. Già durante gli anni del Conservatorio – continua – mi capitava di suonare a dei concerti e di ritrovarmi a stretto contatto con nomi altisonanti del mondo della musica, classica e non. Ho lavorato e studiato con Leonard Bernstein, uno fra i più grandi direttori d’orchestra del Novecento, dal quale ho imparato tantissimo. Nel campo della musica leggera ho collaborato, fra gli altri, con Renato Zero, di cui mi ha colpito la grande professionalità (in due anni di tour non ha mai steccato una nota). Insomma, posso dire di aver avuto davvero molte occasioni importanti.” Una carriera ricca di successi come insegnante di violoncello al Conservatorio e come direttore d’orchestra, approdando recentemente alla composizione con l’opera lirica da camera dal titolo Come le maree sotto la luna.
“A cavallo tra gli anni settanta e ottanta ho vissuto un’esperienza davvero straordinaria, racconta, ma sul momento non me ne rendevo conto pienamente, forse perché all’epoca fare carriera era più facile rispetto ad oggi. La musica mi aveva preso totalmente, assorbiva tutte le mie energie… respiravo con la musica e la musica respirava con me. Suonare il violoncello mi dava l’opportunità di provare emozioni straordinarie, di conoscere persone meravigliose, di approfondire culture diverse, di entrare nel mondo del sensibile. E, come ha scritto Victor Hugo, la musica esprime ciò che non può esser detto e su cui è impossibile tacere.”

Il tempo di armare e modificare il Denecia II secondo le sue esigenze e, detto fatto, dopo appena quattro mesi, Roberto molla gli ormeggi per il suo primo fantastico viaggio in solitario per lidi lontani… Esattamente il 3 luglio 2011 si muove dalla darsena di Fiumicino per fare rotta su Istanbul dove arriva ventidue giorni dopo, quasi un record! “Non bisogna partire con l’idea di trovare quel che raccontano, ma scoprire quello che trovi”, afferma Roberto “perdendosi tra le isole greche” quando riapproda a Fiumicino il 29 ottobre
I restanti due terzi sono un vero e proprio diario di bordo, dove descrive, giorno dopo giorno, luoghi, gente, colori, insomma l’immersione totale avuta vivendo con gli elementi per lui sconosciuti fin a quel momento.
Quasi un portolano, non arido, dove le emozioni e il racconto prevalgono sulle notizie tecniche.
Il libro ha un bel corredo di fotografie, io ne ho fatto una selezione e Roberto ha scritto le didascalie. Il modo migliore per capire di cosa stiamo parlando. O no?
Qui sopra, la carta
nautica con la rotta, andata e ritorno, seguita da Roberto: Cinquemila
miglia a vela in giro per il Mediterraneo navigando da solo, e in
ultimo con una gamba e mezzo (una era ingessata!).
L’arrivo
a Istanbul in barca a vela! Nel Bosforo era come una giostra: mentre
bordeggiavo per riconoscere le figure dei monumenti più celebri
centinaia di traghetti attraversavano incessantemente per collegare
la sponda europea con quella asiatica, mandando segnali sonori per
farmi scansare, e dai loro ponti i turisti fotografavano la mia
barca: in effetti era l’unica che procedeva a vela lì in mezzo.
Avrei
voluto continuare a fare altri giri sulla giostra, ma dopo più di
tre ore purtroppo era arrivato il momento di
uscire dal Bosforo, anche perché era sopraggiunta una motovedetta a
“ricordarmi” che lì è vietato andare a vela... Ops! Ero da
solo, venivo da Roma, ero in preda all’euforia, hanno capito e mi
hanno lasciato andare: “Go!” Prima di allontanarmi dalla giostra
ho scattato un’ultima foto: il sole che tramontava sulla moschea.
Nella permanenza nella città turca ho visto diverse foto simili, ho
mostrato la mia a un fotografo e mi ha detto che c’è solo un
brevissimo periodo dell’anno in cui si può scattare
quell’inquadratura e che bisogna essere fortunati che venga così...
Un’amica
mi ha chiesto di fotografare la Sultanahmet Camii, conosciuta come
Moschea blu per il colore predominante degli splendidi mosaici che
tappezzano le sue alte pareti, ma qualsiasi inquadratura provassi mi
sembrava di copiare una delle tante cartoline, così ho preferito
spedire una prova tangibile del mio ingresso nella moschea.
All’arrivo
in Grecia, in vista di Lesbos, un gruppo di delfini ha fatto una
danza di benvenuto davanti alla prua, proprio dove la legenda narra
che il citarista Arione di Lesbos venne salvato da un delfino che
amava la musica. Un caso che i delfini erano proprio li, un caso che
erano venuti incontro alla barca di un musicista, un caso che in una
delle tante foto scattate sia riuscito a cogliere l’attimo delle
loro evoluzioni: fotografare i delfini è molto difficile, non sai
mai in quale punto emergeranno e lo scatto arriva “puntualmente in
ritardo”.
Pserimos:
solo una ventina di case, una spiaggia con sabbia bianca acqua
cristallina, niente strade e le tre macchine che ci sono non hanno la
targa. Un’isola da sogno... finché non sono comparsi ben sette
caicchi, sette cavalieri dell’apocalisse, che hanno vomitato
qualche centinaia di turisti del tipo “mordi e fuggi”, quelli che
visitano una serie di baie in una giornata fermandosi massimo un’ora
ciascuna. Per fortuna, così come sono arrivati se ne sono andati e
la pace è tornata nel villaggio dormiente, come se nulla fosse
accaduto.
Nisiros,
l’isola vulcano, mi ha stregato per la sua atmosfera rilassata,
raramente
ho visto un angolino del mondo dove si respiri questa dolcezza di
vivere. Il vento spirava stranamente verso l’isola da tutte le
rotte, così che ogni volta che una barca tentava di partire veniva
riportata nel tranquillo e riparato porticciolo come a non volerla
lasciare andar via.
Le
geometrie delle linee del Ponte di Patrasso dedicato a Poseidone si
incontrano con quelle di una nave da crociera al suo passaggio. Dopo
una navigazione difficile, con una gamba e mezzo (ingessata) alla
vista del ponte tutto si placa: i miei amici greci mi avevano detto
che Poseidone sarebbe stato con me!
La
finestra di tempo favorevole per raggiungere Lefkas dopo il periodo
forzato di riposo ad Atene per la frattura si sta per chiudere, in
tarda serata è prevista in arrivo dall’Italia una perturbazione,
si vedono già le nuvole in lontananza provenire da est, dopo poco
vedo i lampi... poi odo i tuoni... poi comincia a gocciare… Ed
eccolo il temporale, a tre miglia dall’ingresso del canale di
Lefkas, scendo sottocoperta, metto la gamba ingessata in una sacca,
taglio i pantaloni di una cerata per poterli infilare, salgo
sopracoperta e trovo la grandine. Grazie! Ci voleva proprio questo
per stare al timone... Mi è venuta anche la febbre e le mie forze si
sono quasi esaurite. Finalmente avvisto la marina, chiamo ma nessuno
risponde, né al canale del vhf, né al numero di telefono fisso. La
visibilità è ridotta a pochi metri, individuo a stento un posto
libero e mi c’infilo di poppa, cerco di legare la barca in qualche
maniera a quella vicino per fermarla ma non è facile con il gesso e
scivolo più di una volta, poi dalla fitta pioggia emerge dal nulla
una figura sul pontile con un impermeabile scuro di quelli dei
marinai di un tempo, salta senza dire niente sulla mia barca da
poppa, prende le cime e gli da volta alle bitte sul pontile, poi va a
prua per fissare il corpo morto ma non ho visto come l’ha preso, è
andato troppo spedito per averlo portato da poppa, non ho visto
neanche il suo volto, il cappuccio lo copre fino alla bocca il che
però mi permette di vederlo sorridere un attimo prima che svanisca,
così com’era comparso, senza dire una parola, nel nulla. Dopo
dodici ore di sonno ininterrotto mi reco agli uffici della marina per
ringraziare l’ormeggiatore che mi ha aiutato ma mi dicono che ieri
sera non c’era nessuno ai pontili a causa di una non meglio
specificata urgenza. Ma allora era un fantasma? Sarà stato il
delirio delle febbre alta? E se così fosse, come sono riuscito ad
ormeggiare?
L’ancora
comincia a dare segni di scarsa tenuta alle forti raffiche
provenienti da nordovest che scendono dalla montagna nel porto di
Astipalea e in pochi minuti si scatena l’inferno: le barche si
appoggiano l’una contro l’altra e qualcuno finisce con la poppa
in banchina, l’unica soluzione è la fuga! Mollo gli ormeggi,
motore avanti tutta, elica di prua e riesco a venirne fuori senza
danni. Tenterò di raggiungere il Vathi (fiordo) che ho visto sulla
carta nautica all’interno della punta dell’altra ala dell’isola
a forma di farfalla. Devo fare otto miglia di notte con mare molto
mosso al traverso e vento da nordovest di trenta nodi. Le onde grosse
al buio fanno paura, sollevano la barca e quando sono passate
dall’altra parte, illuminate dalla luna, mi rendo conto di quanto
siano alte. Un’onda più arrabbiata delle altre faccio appena in
tempo a vederla che si frange contro il lato sinistro dello scafo, o
immediatamente prima, non so, e passa sopra la barca, il pozzetto è
pieno d’acqua come una vasca da bagno e io sono totalmente zuppo.
Finalmente arrivo allo stretto ingresso del fiordo, che imbrocco a
stento verso le ventidue, il mare e il vento via, via che mi addentro
si placano, sinistra scorgo una luce in un fiordo interno al fiordo.
All’improvviso una calma surreale, il vento da trenta passa a zero
e il mare da agitato passa alla superficie calma di un lago. Magia.
Tutto si placa, anche le mie ansie. La luce intravista in lontananza
proviene da un piccolo ristorante, dalle finestre illuminate si
intravedono le figure di tre o quattro persone, le sento ridere e
scherzare in lontananza, ma non sembra si accorgano del mio arrivo,
scorgo un piccolo molo in cemento con due piccoli pescherecci e uno
spazio libero della misura esatta della mia barca! Ormeggio
facilissimo, in totale assenza di vento, mentre fuori c’è
l’inferno sono approdato in paradiso. Una calma surreale, la barca
è più ferma che in qualsiasi porto io sia mai stato, non un
movimento, non uno sciabordio, sembra sospesa nel nulla, come questo
posto. Le voci dal ristorante si sono spente e prima di addormentarmi
sento il suono dei campanacci provenire dalla collina.
Terzo
giorno ad Amorgos, ancora motorino, ancora nuotata in acque
cristalline, ancora strade vuote, ma non tanto: curva, macchina
contromano, frenata, ghiaiolino, ambulanza, ospedale.
Dopo
migliaia di miglia in barca a vela da solo nelle quali non mi è
successo niente vado a farmi male come un coglione, in motorino.
Copertina
del libro
Forse
questa foto è poco adatta a un “diario di bordo”, ma è di
sicuro la più bella che io abbia mai scattato, tanto che quasi
trent’anni fa ha vinto un concorso, e comunque i miei genitori che
vanno verso la luce assumono ora che sono scomparsi un significato
particolare.