Il Mediterraneo di ieri e di oggi visto dal grande Predrag Matvejevic

Predrag Matvejevich
Predrag Matvejevic, nato a Mostar nel 1932 nell’allora regno di Jugoslavia, è lo scrittore che attraverso i suoi scritti ha offerto un quadro rigoroso ma nello stesso tempo poetico delle civiltà e dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo.    
Il “Mare nostrum”, è inteso come storia di migrazioni, di traffici e di mercanti, di incontri e scontri, incrocio di idee e di culture. Nessuno meglio di lui ha saputo cogliere il senso di appartenenza ad una comune civiltà che in ogni epoca è riuscita ad affermare la propria creatività malgrado le scissioni e i numerosi conflitti. È l’autore di “Breviario mediterraneo” tradotto in oltre 30 lingue, gli è valso riconoscimenti ovunque, in Italia ha avuto ben undici ristampe. “Un libro geniale, inatteso, fulmineo” come ha scritto Claudio Magris. Tra una decina di libri pubblicati in Italia hanno avuto un successo particolare L’altra Venezia (Premio Strega Europeo 2003) e Pane Nostro con cinque ristampe con una nuova edizione tascabile.
Nel 1994 il nostro Presidente Oscar Luigi Scalfaro gli ha attribuito la cittadinanza italiana e il titolo di Commendatore dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana. Nella sua battaglia culturale per la pace e la democrazia contro ogni integralismo e iper-nazionalismo, nel novembre 2005 è stato condannato da un tribunale di Zagabria a cinque mesi di prigione per calunnia e ingiuria nei confronti dello scrittore Mile Pešorda. Per quattordici anni ha insegnato letterature slave comparate alla Sapienza di Roma.
Il prossimo 28 a Gaeta riceverà lo Yacht Med Award “per la sua carriera letteraria, e per il contributo culturale all’avvicinamento e alla collaborazione dei Popoli Mediterranei.” Per l’occasione e per la grande amicizia che lo lega a Giulia D’Angelo che ha organizzato il Premio e la Mostra Mercato Internazionale del Libro di Mare, ha scritto per noi, e lo ringraziamo di cuore, questo breve saggio:
Il Mediterraneo di oggi e di ieri

Il passato del Mediterraneo ha visto e vissuto numerosi periodi di pace e di guerra. Il mondo latino era orgoglioso di aver instaurato sulle nostre sponde un’epoca eccezionale, quella della «pax romana », forse la più lunga pace nel passato del mare nostrum. Abbiamo conosciuto, invece, innumerevoli scontri fra stati, nazioni, città, regimi, religioni, regioni. Lasciando alla “storia di lunga durata” l’enumerazion e abituale di questi eventi, che vanno dalla preistoria ai tempi moderni, annotiamo che anche nell’epoca nostra ci siamo trovati di fronte a non poche fratture trasformatesi in tensioni, scontri e perfino in conflitti armati che hanno coinvolto Spagna, Grecia, Cipro, Balcani, ex-Jugoslavia, Palestina e, in questo momento, in primo luogo, il Maghreb e il Mashrek, quasi tutta la sponda Sud del Mediterraneo con alcuni spazi vicini...
Ci chiediamo se gli eventi che in questo momento avvengono e si susseguono nel mondo arabo e intorno ad esso possono essere paragonati con quelli che hanno marchiato il crollo dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti dopo la caduta del muro di Berlino? I fenomeni sembrano molto diversi ma alcuni paragoni fra di loro potrebbero essere, malgrado tutto, leciti. Sia nel Maghreb che nel Mashrek non abbiamo visto un Gorbacëv salire sulla scena politica con la “perestroika”, né una “Primavera di Praga” con un “dissidente” come Václav Havel, neppure un Lech Wálesa ossia, fra i fedeli, un Karol Wojtyla. Esistono tuttavia numerosi giovani studiosi e intellettuali arabi che hanno avuto incontri stretti e positivi con le acquisizioni della cultura occidentale, non solo scientifica o tecnologica, contatti con una specie di laicità alla quale la storia dei loro paesi non permetteva un accesso facile. Quello che è senza dubbio simile e paragonabile in ambedue le situazioni, quella dell’Est europeo e quella del mondo arabo, è un terremoto internazionale e globale che si è prodotto - un sisma che s’iscrive in tutta la storia contemporanea e moderna.
Un’enorme faglia fra le placche storiche…
È utile evocare la situazione del Mediterraneo alla luce degli eventi che stanno svolgendosi in questo momento sulla sua sponda meridionale. L’immagine che ci offre il Mediterraneo non è affatto rassicurante. La sua sponda settentrionale presenta un ritardo rispetto al Nord Europa, e altrettanto la riva meridionale rispetto a quella europea. Tanto a Nord quanto a Sud, l’insieme del bacino si lega con difficoltà al continente. Non è davvero possibile considerare questo mare come un «insieme» tenendo conto delle fratture che lo dividono, dei conflitti che lo dilaniano.
Il Mediterraneo ha conosciuto, anche nella nostra epoca, vari conflitti tra la costa e l’entroterra. L’Unione Europea si è compiuta, fino a qualche tempo fa, senza tenerne conto: è nata un’Europa separata dalla «culla dell’Europa». Come se una persona si potesse formare dopo essere stata privata della sua infanzia, della sua adolescenza. Le spiegazioni che se ne davano, banali o ripetitive, non riescono a convincere coloro ai quali sono dirette. Non ci credono neanche quelli che le propongono. I parametri con i quali al Nord si osservano il presente e l’avvenire del Mediterraneo non concordano con quelli del Sud. Le griglie di lettura sono diverse. La costa settentrionale del Mare Interno ha una percezione e una coscienza differenti da quelle della costa che le sta di fronte. Ai nostri giorni le rive del Mediterraneo non hanno in comune che i loro malcontenti. Il mare stesso assomiglia sempre di più ad una frontiera che si estende da Levante a Ponente per separare l’Europa dall’Africa e dall’Asia Minore. Le decisioni relative alla sorte del Mediterraneo sono prese al di fuori di esso o senza di esso: ciò genera frustrazioni e talvolta fantasmi. Le manifestazioni di gioia davanti allo spettacolo del Mediterraneo si fanno contenute e fugaci. Le nostalgie e le proteste si esprimono attraverso le arti e le lettere. Le frammentazioni prevalgono sulle convergenze. Si profila all’orizzonte, già da tempo, un pessimismo storico, un “crepuscolarismo” letterario. Le coscienze mediterranee si allarmano e, ogni tanto, si organizzano. Le loro esigenze hanno dato vita, nel corso degli ultimi decenni, a numerosi piani e programmi : le Carte di Atene, di Marsiglia e di Genova; il Piano d’Azione per il Mediterraneo (PAM) e il Piano Blu di Sophia-Antipolis che proietta l’avvenire del Mediterraneo «all’orizzonte del 2025»; le Dichiarazioni di Napoli, Malta, Tunisi, Spalato, Palma di Maiorca, tra le tante; le Conferenze euromediterranee di Barcellona, Malta, Palermo; i Forum della società civile a Barcellona, Malta ed in ultimo a Napoli (con 1200 persone arrivate da tutti i paesi mediterranei). Simili sforzi, spesso lodevoli e generosi nelle intenzioni, stimolati o sorretti da commissioni governative o da istituzioni internazionali, non hanno conseguito che risultati limitati.
A che serve denunciare, con rassegnazione o con esasperazione, le aggressioni che continua a subire il nostro mare? Nulla tuttavia ci autorizza a farle passare sotto silenzio: degrado ambientale, inquinamenti sordidi, iniziative selvagge, movimenti demografici mal controllati, corruzione nel senso letterale o figurato, mancanza di ordine e scarsità di disciplina, localismi, regionalismi, e quanti altri «ismi» ancora, conflitti e guerre alla fine. Il Mediterraneo non è comunque il solo responsabile di questo stato di cose. Le sue migliori tradizioni (per l’esempio quelle che associano l’arte e l’arte di vivere !) si sono opposte invano. Le nozioni di scambio e di solidarietà, di coesione e di «partenariato » devono essere sottoposte a un esame critico. La sola paura dell’immigrazione proveniente dalla costa Sud non basta per determinare una politica ragionata. Il Mediterraneo è visto finora come uno stato di cose, senza riuscire a diventare un progetto. La costa Sud ha mantenuto le sue riserve, dopo l’esperienza del colonialismo. Entrambe le rive sono, malgrado tutto, molto più importanti sulle carte utilizzate dagli strateghi che non su quelle che dispiegano gli economisti. Tutto è stato detto su questo «mare primario » diventato uno stretto di mare, sulla sua unità e sulla sua divisione, la sua omogeneità e la sua disparità : da tempo sappiamo che non è né “una realtà a sé stante» e neppure «una costante» : l’insieme mediterraneo è composto da molti sottoinsiemi che sfidano o rifiutano le idee unificatrici.
Concezioni storiche o politiche si sostituiscono alle concezioni sociali o culturali, senza arrivare a coincidere o ad armonizzarsi. Le categorie di civiltà o le matrici di evoluzione al Nord e al Sud non si lasciano ridurre ai denominatori comuni. Gli approcci dalla fascia costiera e quelli proposti dall’entroterra si sono tante volte esclusi o contrapposti gli uni agli altri. Il Mediterraneo ha affrontato la modernità in ritardo. Non ha conosciuto la laicità lungo tutti i suoi bordi. Per procedere a un esame critico di questi fatti, occorre prima di tutto liberarsi da alcune zavorre ingombranti. Ciascuna delle coste conosce le proprie contraddizioni, che non cessano di riflettersi sul resto del bacino e su altri spazi, talvolta abbastanza lontani. La realizzazione di una convivenza in seno ai territori multietnici o plurinazionali, lì dove s’incrociano e si mescolano tra loro culture diverse e religioni differenti, conosce sotto i nostri occhi uno smacco crudele. Non esiste una sola cultura mediterranea : ce ne sono molte in seno ad un solo Mediterraneo. Sono caratterizzate da tratti per certi versi simili e per altri differenti.
Le somiglianze sono dovute alla prossimità di un mare comune e all’incontro sulle sue sponde di nazioni e di forme di espressione vicine. Le differenze sono segnate da fatti d’origine e di storia, di credenze e di costumi. Né le somiglianze né le differenze sono assolute o costanti : talvolta sono state le prime a prevalere, talvolta le ultime. Il resto è mitologia. «Elaborare una cultura intermediterranea alternativa ». Mettere in atto un progetto del genere non pare imminente; «condividere una visione differenziata» è meno ambizioso - senza essere sempre più facile da realizzare. Tanto nei porti quanto al largo «le vecchie funi sommerse», che la poesia si propone di ritrovare e di riannodare, spesso sono state rotte o strappate dall’intolleranza o dall’ignoranza. Questo vasto anfiteatro per molto tempo ha visto sulla scena lo stesso repertorio, al punto che i gesti dei suoi attori sono talvolta noti e prevedibili. In compenso, il suo genio ha saputo in alcune epoche riaffermare una creatività a nessun’altra uguale. Occorre perciò ripensare le nozioni superate di periferia e di centro, gli antichi rapporti di distanza e di prossimità, i significati dei tagli e degli inglobamenti, le relazioni delle simmetrie a fronte delle asimmetrie. Non basta più osservare queste cose unicamente in una scala di proporzioni o sotto un aspetto dimensionale : possono essere considerate anche in termini di valori. Certe concezioni “euclidee” della geometria hanno bisogno di essere superate.
Le forme di retorica e di narrazione, di politica e di dialettica, invenzioni del genio mediterraneo, sono state adoperate per troppo tempo e talvolta appaiono logore. «Il Mediterraneo esiste al di là del nostro immaginario? » ci si domandava al Sud come al Nord, a Ponente come a Levante. Eppure esistono modi di essere e maniere di vivere comuni o avvicinabili, a dispetto delle scissioni e dei conflitti che ha vissuto e subito questa parte del mondo. Percepire il Mediterraneo partendo solamente dal suo passato rimaneva un’abitudine tenace, tanto sul litorale quanto nell’entroterra. La «patria dei miti» ha sofferto delle mitologie che essa stessa ha generato o che altri hanno sostenuto. Questo spazio ricco di storia è stato vittima degli storicismi. La tendenza a confondere la rappresentazione della realtà con la realtà stessa si perpetua: l’immagine del Mediterraneo e il Mediterraneo reale non s’identificano affatto. Un’identità dell’essere, amplificandosi, eclissa o respinge un’identità del fare, mal definita o spesso scarsa. La retrospettiva continuava durante tanti secoli ad avere la meglio sulla prospettiva. Ed è così che lo stesso pensiero rimaneva prigioniero degli stereotipi.  È forse utile, proprio per questo, ricordare alcuni ammonimenti provenienti dalle esperienze della cosiddetta “Altra Europa” dopo il crollo del muro di Berlino e il comunismo staliniano.
Ci eravamo trovati in un ambito che perdeva la sua dimensione e richiedeva un altro statuto: in un “un mondo ex”, così l’abbiamo definito allora. Un ex-impero, varie exideologie, alcuni tipi di ex-socialismo, quello dal “volto umano” oppure quello privo di volto, e fra l’altro di fronte alla tragedia dell’ex-Jugoslavia e dei Balcani proprio sulla spazio mediterraneo… Era legittimo chiedersi che cosa significasse, in quella situazione come in questa odierna, essere “ex”. Come uscire da quell’indefinibile e fatale stato di cose. Questa domanda vale oggi anche per i paesi arabi. Alcune esperienze, vissute durante o dopo lo sfacelo di un “mondo ex” di ieri o di oggi, con le sue speranze e le sue delusioni, potrebbero riprodursi nel periodo che seguirà le rivolte o le insurrezioni attuali che si rincorrono dal Marocco alla Siria ed oltre lo spazio mediterraneo. Ho dovuto evocarle tante volte dopo il crollo dell’ex-Jugoslavia, durante vari viaggi che avevo fatto sulle sponde arabe. Erano in qualche modo le confessioni fatte dinnanzi agli alleati e amici “non allineati”, soprattutto quelli d’Africa - confessioni legate alla nostra esperienza che rassomigliano talvolta a quelle che vivono adesso anche loro: abbiamo creduto di conquistare il presente, e non riuscivamo a controllare il passato; abbiamo visto nascere delle libertà e non abbiamo saputo che farne o abbiamo rischiato di abusarne; abbiamo difeso un retaggio nazionale e religioso, e poi abbiamo dovuto difenderci da esso; abbiamo denunciato la storia, e abbiamo continuato ad essere invasi da essa; si imponevano le spartizioni e, infine, è rimasto ben poco da spartire; abbiamo voluto salvaguardare la memoria, e dopo tutti quei nuovi eventi la memoria sembra punirci… Così siamo diventati in qualche modo eredi senza eredità, di fronte alle riedizioni del passato e del presente - delle immagini disparate, rimesse insieme con rischio, schermi frapposti in fretta o griglie di lettura mal applicate. I veri amici dei paesi arabi temono per il loro avvenire citando le proprie esperienze. Temiamo anche, senza dirlo ad alta voce, che un islamismo integralista e conservatore non prenda un posto smisurato in alcuni di questi paesi. Tenendo conto della situazione che predomina sulla sponda Nord, che abbiamo cercato di presentare, questa parte del Mediterraneo non potrebbe aiutare sostanzialmente, da sola, la svolta della sponda Sud. Possiamo comunque fare più di quanto abbiamo fatto finora o almeno in un altro modo.