Dal sito del mensile MARE diretto dall’amico Marcello Toja,volentieri riprendiamo questa lettera di Sergio Caminiti, perché anche noi vogliamo partecipare alla sua diffusione.
La tartaruga Genoveffa, dopo 34 anni di Acquario di Alghero, vogliono rigettarla in mare, un mare dove anche le tartarughe “Caretta caretta" come lei, cresciute in acque libere stentano a sopravvivere fra una rete e un sacchetto di nylon. Ma che probabilità ha Genoveffa di sopravvivere? Zero, inoltre in 34 anni si era affezionata al suo padrone che l'aveva salvata da morte certa.
La storia di Genoveffa, tartaruga marina della specie Caretta caretta, inizia nel lontano 1977, quando un pescatore professionista portò nel negozio di acquari Mare Aperto un piccolo esemplare di questa specie. L’animale era quasi in fin di vita, aveva un amo da palamito per pesci spada conficcato in gola, filo di nylon che le avvolgeva strettamente il collo e le pinne, ed era evidente che non si nutriva da mesi.
Noi l’abbiamo operata, curata con antibiotici e vitamine, alimentata forzatamente con cibo liquido e, dopo un periodo di tempo alquanto lungo, abbiamo potuto constatare il perfetto ristabilimento dell’animale.
Nel frattempo, il 23/05/1978, entrava in vigore in Sardegna la legge regionale sulla protezione della Caretta Caretta. Pochi mesi dopo i carabinieri di Alghero ci imputavano del reato di detenzione di specie protetta e ci mettevano sotto sequestro l’animale.
Il processo, come succede spesso in Italia, si dilungava fino al 17/10/1982 e, in quel contesto, venivamo assolti, perché il fatto non costituiva reato, essendo stato ampiamente dimostrato che il rettile in questione ci era stato consegnato prima della suddetta legge.
Nel frattempo, io avevo costruito l’Aquarium di Alghero e Genoveffa ha fatto bella mostra di se, appassionando per trent’anni scolaresche, visitatori e biologi marini e diventando un’ istituzione per Alghero e la Sardegna intera. In tutti questi anni, prima dell’avvento di centri autorizzati di recupero e di salvaguardia di rettili marini e cetacei, la struttura dell’Aquarium era l’unica che potesse ospitare questi animali, che continuamente mi venivano portati, in condizioni precarie, dal personale dello Stato.
Il sottoscritto, con l’aiuto di veterinari, le operava, le curava, le quarantenava e, quando riteneva opportuno, le liberava in mare aperto. Tutto questo senza pretendere nulla per le spese sostenute.
Nel 2010, dietro segnalazione di due turisti, forse troppo ambientalisti, il Corpo Forestale di Alghero mi sequestrava Genoveffa e un’altra Caretta, consegnatami morente, alcuni anni prima, dalla Capitaneria di Porto di Alghero, ormai ristabilita ed in procinto di essere liberata. Nonostante avessero preso visione della documentazione in mio possesso, riguardante la detenzione dei suddetti animali, adducendo il fatto che era loro dovere sequestrare gli animali sotto protezione faunistica e che io avrei potuto far valere le mie ragioni, oltre che al Tribunale, alla sede centrale del CITES a Roma, che è l’organo italiano che si cura di tutti gli animali protetti.
Fatto questo e scagionato logicamente dall’accusa di detenzione di animali protetti, pensavo che l’assurda questione fosse giunta alla fine, ma mi sbagliavo. Il giorno 25/07/2011 la Forestale di Alghero ed il CreS, centro di recupero del Sinis, venivano nel mio acquario con una ordinanza del Tribunale di Sassari, per dissequestrare le tartarughe e trasportarle nel centro di recupero del CreS da cui, dopo un lungo periodo di studio e monitoraggio clinico, sarebbero state liberate in mare. Io sono sicuro che, gli animali abituati alla vita in cattività da così tanti anni non abbiano la benché minima probalità di sopravvivere per i motivi che seguono:
1) Abituati da lungo tempo a mangiare pesci, crostacei e molluschi dalle mani di chi le accudisce giornalmente, non hanno la capacità di procacciarsi il cibo vivo con le loro forze;
2) Non sanno più difendersi da predatori, dalla forza del mare, dagli esseri umani (anzi, si avvicinerebbero per cercare cibo) e da ogni pericolo che il mare cela.
Nell’ipotetico caso sopravvivessero, non sarebbero più in grado di riprodursi avendo gli organi riproduttivi presumibilmente atrofizzati e sottolineando il fatto che lo scopo primario delle leggi protezionistiche è diretto alla conservazione delle specie.
Ritornando a parlare della mia tartaruga storica con la quale convivo da circa 34 anni, penso che non sia corretto e nemmeno morale togliere un animale da un ambiente che ormai considera naturale, dal suo padrone con cui ha convissuto più della metà della sua vita e dalla città di Alghero che conosce la sua storia.
Io, logicamente, farò ricorso contro questa decisione, che a me sembra ingiusta, chiedendo anche i danni economici, morali e di immagine, e avrò bisogno dell’aiuto di tutti quelli che la pensano come me.
Sergio Caminiti
direttore Aquarium di Mistral Alghero
La tartaruga Genoveffa, dopo 34 anni di Acquario di Alghero, vogliono rigettarla in mare, un mare dove anche le tartarughe “Caretta caretta" come lei, cresciute in acque libere stentano a sopravvivere fra una rete e un sacchetto di nylon. Ma che probabilità ha Genoveffa di sopravvivere? Zero, inoltre in 34 anni si era affezionata al suo padrone che l'aveva salvata da morte certa.
La storia di Genoveffa, tartaruga marina della specie Caretta caretta, inizia nel lontano 1977, quando un pescatore professionista portò nel negozio di acquari Mare Aperto un piccolo esemplare di questa specie. L’animale era quasi in fin di vita, aveva un amo da palamito per pesci spada conficcato in gola, filo di nylon che le avvolgeva strettamente il collo e le pinne, ed era evidente che non si nutriva da mesi.
Noi l’abbiamo operata, curata con antibiotici e vitamine, alimentata forzatamente con cibo liquido e, dopo un periodo di tempo alquanto lungo, abbiamo potuto constatare il perfetto ristabilimento dell’animale.
Nel frattempo, il 23/05/1978, entrava in vigore in Sardegna la legge regionale sulla protezione della Caretta Caretta. Pochi mesi dopo i carabinieri di Alghero ci imputavano del reato di detenzione di specie protetta e ci mettevano sotto sequestro l’animale.
Il processo, come succede spesso in Italia, si dilungava fino al 17/10/1982 e, in quel contesto, venivamo assolti, perché il fatto non costituiva reato, essendo stato ampiamente dimostrato che il rettile in questione ci era stato consegnato prima della suddetta legge.
Nel frattempo, io avevo costruito l’Aquarium di Alghero e Genoveffa ha fatto bella mostra di se, appassionando per trent’anni scolaresche, visitatori e biologi marini e diventando un’ istituzione per Alghero e la Sardegna intera. In tutti questi anni, prima dell’avvento di centri autorizzati di recupero e di salvaguardia di rettili marini e cetacei, la struttura dell’Aquarium era l’unica che potesse ospitare questi animali, che continuamente mi venivano portati, in condizioni precarie, dal personale dello Stato.
Il sottoscritto, con l’aiuto di veterinari, le operava, le curava, le quarantenava e, quando riteneva opportuno, le liberava in mare aperto. Tutto questo senza pretendere nulla per le spese sostenute.
Nel 2010, dietro segnalazione di due turisti, forse troppo ambientalisti, il Corpo Forestale di Alghero mi sequestrava Genoveffa e un’altra Caretta, consegnatami morente, alcuni anni prima, dalla Capitaneria di Porto di Alghero, ormai ristabilita ed in procinto di essere liberata. Nonostante avessero preso visione della documentazione in mio possesso, riguardante la detenzione dei suddetti animali, adducendo il fatto che era loro dovere sequestrare gli animali sotto protezione faunistica e che io avrei potuto far valere le mie ragioni, oltre che al Tribunale, alla sede centrale del CITES a Roma, che è l’organo italiano che si cura di tutti gli animali protetti.
Fatto questo e scagionato logicamente dall’accusa di detenzione di animali protetti, pensavo che l’assurda questione fosse giunta alla fine, ma mi sbagliavo. Il giorno 25/07/2011 la Forestale di Alghero ed il CreS, centro di recupero del Sinis, venivano nel mio acquario con una ordinanza del Tribunale di Sassari, per dissequestrare le tartarughe e trasportarle nel centro di recupero del CreS da cui, dopo un lungo periodo di studio e monitoraggio clinico, sarebbero state liberate in mare. Io sono sicuro che, gli animali abituati alla vita in cattività da così tanti anni non abbiano la benché minima probalità di sopravvivere per i motivi che seguono:
1) Abituati da lungo tempo a mangiare pesci, crostacei e molluschi dalle mani di chi le accudisce giornalmente, non hanno la capacità di procacciarsi il cibo vivo con le loro forze;
2) Non sanno più difendersi da predatori, dalla forza del mare, dagli esseri umani (anzi, si avvicinerebbero per cercare cibo) e da ogni pericolo che il mare cela.
Nell’ipotetico caso sopravvivessero, non sarebbero più in grado di riprodursi avendo gli organi riproduttivi presumibilmente atrofizzati e sottolineando il fatto che lo scopo primario delle leggi protezionistiche è diretto alla conservazione delle specie.
Ritornando a parlare della mia tartaruga storica con la quale convivo da circa 34 anni, penso che non sia corretto e nemmeno morale togliere un animale da un ambiente che ormai considera naturale, dal suo padrone con cui ha convissuto più della metà della sua vita e dalla città di Alghero che conosce la sua storia.
Io, logicamente, farò ricorso contro questa decisione, che a me sembra ingiusta, chiedendo anche i danni economici, morali e di immagine, e avrò bisogno dell’aiuto di tutti quelli che la pensano come me.
Sergio Caminiti
direttore Aquarium di Mistral Alghero