Pier Paolo Giua e Emiliano Parenti |
La Tecnomar è tutto questo. La sua storia nasce nel 1964 con Pier Paolo Giua e sua moglie Clara, vent’anni appena compiuti, che iniziano a rimessare barche su scali improvvisati lungo cinquecento metri di argine del fiume, offrendo anche assistenza di cantiere. Una roulotte serviva da casa e da ufficio, la falegnameria e l’officina erano coperte a malapena da una tettoia e il piazzale di rimessaggio era un campo di grano abbandonato. Passo dopo passo l’azienda è cresciuta e oggi, oltre a fornire l’ormeggio a circa quattrocento barche a vela di tutte le dimensioni, il cantiere ha ben quaranta dipendenti e artigiani super specializzati, magari discendenti degli artigiani romani che più di duemila anni fa affollavano i “navalia” (cantieri navali) poco distanti del Porto di Claudio a Isola Sacra, quando Roma iniziava a consolidare il suo potere sul mare.
Pirorimorchiatore goletta Pietro Micca |
Emiliano ha assunto la carica di direttore tecnico della Tecnomar e grazie alle sue capacità di coordinamento questa realtà si è distinta specializzandosi da subito nel refitting di rimorchiatori che di tutte le imbarcazioni è la più robusta, potente e sicura. Da dieci anni è diventata moda e sono decine gli esemplari che vengono sottoposti a refill e riconvertiti al diporto.
Il primo restauro di una nave in ferro fu, quando Giua lesse un appello per salvare il Pietro Micca, la più antica nave commerciale italiana a vapore, costruita a lamiere chiodate in Inghilterra nel 1895 e all'epoca in stato di abbandono a Napoli. Questo pirorimorchiatore goletta – così come era stato classificato nel 1905 – venne trasferito in Tecnomar e restaurato con ventiquattromila ore di lavoro.
Oggi il Pietro Micca è il biglietto da visita del cantiere, imbarca un equipaggio fisso composto dal comandante, direttore di macchina, giovanotto di macchina e due marinai di coperta. È conosciuto al pari di un monumento nazionale e si paga il mantenimento, non senza sacrifici, con rimorchi o crociere, come quando fu noleggiato da Lega Ambiente che lo utilizzò come Goletta Verde.
Emiliano Parenti al timone… |
“L’armatore di un rimorchiatore, dice Emiliano Parenti, è come se diventasse proprietario di una piccola nave. La mentalità è quella del velista amante delle barche classiche marine e dislocanti, proprio come sono queste unità d'alto mare. Sono scafi che uniscono potenza e dolcezza, trasmettono la stessa sensazione che si prova cavalcando uno stallone o conducendo una vecchia locomotiva. Sono molto stabili e in grado di navigare sia a un bassissimo numero di giri sia di correre a 10 nodi costanti in qualsiasi condizione di mare e di vento.” Ma cosa fare quando un gigante d'acciaio viene alato in secco in cantiere? Da dove cominciare?
Kipawa, com’era |
Per le navi in classe, quelle ancora iscritte nei registri navali, si recuperano subito i piani di carena e quelli dei ferri. Poi si verificano gli spessori delle lamiere saldate, vengono revisionati i grossi motori a gasolio, ogni cilindro viene estratto, aperto, svuotato e pulito, si revisiona l'impiantistica oleodinamica, composta da oltre 300 metri di tubature e svariati chilometri di cavi elettrici. Un rimorchiatore è come una centrale che può generare c fornire energia. Ecco perché averne uno in porto può sempre rivelarsi utile. Poi è la volta della compartimentazione interna.
Kipawa morsettato |
Ma la passione che vede impegnato Emiliano più di ogni altra cosa, è il recupero e il restauro di barche a vela. Quando ne parla gli si illuminano gli occhi e, come un fiume in piena, racconta di come, partendo da poco più di in relitto, si arriva a un restauro integrale come quello del Kipawa, un gentlemen racer della classe nazionale norvegese dei 10 metri al galleggiamento. Molto simili ai 10 Metri di Stazza Internazionale i 10 M norvegesi avevano una migliore abitabilità interna e maggiori conforts in crociera, misurano 16,50 metri fuori tutto e solo 3.30 al baglio massimo con un pescaggio di ben 2,40. Su disegno di Christian Jensen Kipawa fu costruito a Oslo nel cantiere di Soon nel 1938 e trasferito in Canada dove se ne persero le tracce per molto tempo.
Parenti controlla il fasciame di un cutter aurico del 1910 |
Kipawa pronto al varo |
Un altro restauro che inorgoglisce Parenti è quello dello schooner Orianda. La costruzione del modello tridimensionale dell’intero scafo ha permesso la razionalizzazione degli spazi interni per ottenere il fascino e l’eleganza voluta dal suo progettista nel 1937 senza stravolgere o anche solo modificare lo stile e il sapore di una barca d’epoca. Un’alchimia difficile, ma pienamente riuscita che fa di Orianda una delle poche imbarcazioni storiche con licenza MCA (Maritime Coastal Agency) una barca moderna per ricettività, manovrabilità e sicurezza, è stata armata in modo che sono sufficienti tre persone d'equipaggio, un record per un 26 metri.
Kipawa in regata |
Li aspettiamo al varo, pronti a scagliare sulla loro prua la classica bottiglia di champagne e ad augurare buon vento!