Tandoku, una pillola (di buon libro) leva il medico di torno

Di record pazzeschi ce ne sono molti basta leggere il Guinnes dei primati, ma, io credo, Alessandro Di Benedetto li supera tutti, con il suo giro del mondo su una barca a vela un mini 6.50, il One World, senza cabina di poco più di sei metri, in solitario, sì proprio da solo, senza scali e senza assistenza sul percorso della regata Vendée Globe.  È partito il 26 Ottobre 2009 alle 10h 26' 28", è tornato il 22 Luglio 2010 alle 06h 02' 40" dopo aver fatto il giro del mondo in 268 g 19h 36' 12"
Di Benedetto racconta anche un’altra sua straordinaria impresa nel libro Tandoku che in giapponese significa “solo”, appunto. Noi per sollecitare la vostra curiosità ve ne proponiamo una pillola, sicuri che poi verrete a trovarci in libreria a cercare Tandoku, Transpacifica in solitario, di Alessandro Di Benedetto, edizione Magenes, € 16,00


Eccovi la pillola:
La rotta seguita da Di Benedetto

Tempesta, 18 giugno
Le onde superano spesso i 5 metri di altezza e a volte i frangenti piombano sul telo centrale sommergendo tutto. Nei marosi più grossi ho paura che il catamarano possa rovesciarsi. Rispetto a ieri la situazione è peggiorata anche perché non sono riuscito a dormire e la fatica si sta accumulando. Non so quanto potrò resistere senza dormire, forse un altro giorno ancora, forse meno, poi dovrò trovare un modo per rallentare ancora di più la corsa del catamarano che ho messo in fuga davanti a questo oceano scatenato, sconvolto dai frangenti. Continua a piovere, un po’ meno di ieri, ma è una pioggia costante che non dà tregua e che bagnando ogni cosa mi impedisce di tenere asciutte le mani. Ogni angolo del catamarano è divenuto ormai inospitale. L’ancora galleggiante è sempre in mare, legata a poppa. I frangenti a volte sono violenti. Forse meno alti di ieri e della notte appena trascorsa, ma più veloci e quindi più pericolosi. Con il buio è stata dura tenere testa all’oceano. Il vento non ha accennato a diminuire di forza, anzi, a intervalli quasi regolari, diveniva più aggressivo, più violento. Con la notte e grossi e improvvisi frangenti è arrivata anche la paura, il timore del rovesciamento, che in queste condizioni, a causa del rischio di ipotermia, potrebbe anche significare abbandonare l’impresa ed essere costretto a chiamare gli aiuti via satellite.
È questo infatti il rischio più alto se, in caso di ribaltamento, non fossi in grado di raddrizzare il catamarano in poco tempo. (...) La tensione è molto alta, ma fisicamente e psicologicamente sto bene. Queste condizioni del mare impongono, visti i limiti del mezzo su cui navigo, di scegliere la fuga rispetto al tentativo di tenere la rotta. A questo punto il problema non è più quello di avanzare il più velocemente possibile, ma sopravvivere e limitare i danni. Occorre girare una delle corde che Pirandello ritiene esistere nel nostro cervello per tesarla, un’altra per allentarla, in maniera tale da trovare il giusto equilibrio mentale per far fronte a questa situazione di emergenza. I momenti più brutti sono sicuramente le prime ore della burrasca e poi quelli in cui le forze vengono meno e sento in maniera sempre più impellente il bisogno di riposare. Questo è uno dei punti critici in cui non bisogna abbassare la guardia. Per organizzarmi al meglio contro il maltempo ripasso a mente tutti gli accorgimenti che ho predisposto per i casi di emergenza. La lista delle priorità diviene diversa da quella di un’usuale navigazione. L’importante è non farmi trovare impreparato alla burrasca, non rovesciarmi, non perdere calore, nutrirmi e bere a dovere, non ferirmi, limitare la perdita di energie e di attenzione. Una delle sensazioni che si prova in queste condizioni è che lo spazio si restringa. Ciò è legato alla visibilità che a causa della pioggia, dell’altezza delle onde e delle nuvole basse è notevolmente ridotta. La mente è molto più concentrata a difendersi dall’arrivo di un frangente avvistato a pochi metri dalla barca che sopraggiunge rabbioso piuttosto che a pensare a una meta da raggiungere posizionata idealmente alcuni meridiani più a est, né tantomeno all’arrivo o all’avvistamento della costa oltre 4.000 miglia più avanti. Lo spazio vitale appare ridotto, concentrato, anche perché è limitato, a seconda delle condizioni, al volume interno della muta che rappresenta l’unica vera barriera protettiva dall’ambiente esterno. Oltre a questa percezione di spazio, inteso come volumi al cui interno il corpo si può muovere, ve ne è un’altra che è puramente mentale. È una sorta di concentrazione, di raccoglimento che ha lo scopo di ottimizzare il dispendio di energie e razionalizzare le scelte. In ciò aiuta una corretta disposizione dell’attrezzatura e dei viveri a bordo. Anche per tale ragione e per far fronte a situazioni del genere, la preparazione che ha preceduto la partenza per questo viaggio è stata minuziosa. In poche ore la burrasca si trasforma in una tempesta. Il vento nelle raffiche supera i 48 nodi. L’oceano diviene bianco, coperto da frangenti. Là dove non c’è spuma, il colore del mare è grigio scuro, come se riflettesse l’umore del cielo, anch’esso grigio e minaccioso.Le creste delle onde sprigionano la loro inesauribile energia esplodendo in cascate d’acqua.Massaggio le mani per scaldarle. Il mio timore è di perdere troppo calore. Ho indossato due passamontagna in microfibra e sopra la muta stagna ho messo una cerata completa rossa. Nonostante ciò devo muovermi spesso e fare esercizi con le braccia e con le gambe per non sentire freddo. A causa dei sussulti improvvisi del catamarano e della minaccia delle onde, non è semplice fare movimenti perché rischio di essere scaraventato fuori bordo nonostante indossi sempre la cintura di sicurezza e non è un’esperienza che ho voglia di fare… Il vento mi sta spingendo troppo a nord e questa situazione non mi piace per niente. Ho superato i 41° di latitudine nord e faccio rotta praticamente verso le isole Curili posizionate tra l’isola giapponese di Hokkaido e la penisola Kamchatka che è incuneata tra l’oceano Pacifico, il mar di Ohotsk e il mare di Bering. Verso le 11,00 il vento diminuisce raggiungendo i 30 nodi. Decido che è il momento buono per issare un po’ di tela e tentare di guadagnare strada verso est anche perché, se la tempesta dovesse riprendere forza, in pochi giorni potrei ritrovarmi con della terra in vista sottovento e con temperature decisamente più basse delle attuali. Meglio fare il possibile adesso, anche se ormai è da più di due giorni che non chiudo occhio, che ritrovarmi in una situazione spiacevole più avanti. Su quindi la tormentina per provare a non scadere troppo al vento. La scelta di rimettere su tela, se da un lato si rivela buona perché mi consente di non andare più nello stesso verso del vento, dall’altro comporta un’attenzione molto alta perché il catamarano è animato da forze nuove, possenti, e prendendo velocità mi catapulta a oltre 10 nodi nel cavo di onde sproporzionate rispetto alle dimensioni del guscio su cui mi ritrovo e verso una folle corsa nell’abisso del loro scuro ventre. A completare il quadro, non certo tranquillizzante, concorrono numerosi frangenti di 1,5-2 metri di altezza ma molto aggressivi che improvvisamente scaturiscono dal nulla, generati dalla cresta di un’onda più inferocita delle altre e lanciandosi velocissimi sopra il catamarano lo investono scuotendolo come una foglia in una tempesta d’inverno. L’oceano è ormai scomposto, gonfio, minaccioso, informe, le onde sono spettacolari e terrificanti nella loro forza e spietatezza, nel loro colore giaccio sporco, nelle loro sferzate taglienti. Ogni cavalcata, ogni cresta, ogni raffica richiede la massima attenzione per non trasformarsi in un disastro. Voltandomi verso poppa le immagini sono ormai in bianco e nero. I colori sono soffocati dal grigiore del cielo e dal piombo dell’oceano. La scia degli scafi solca violenta il dorso delle onde dipingendo alle mie spalle sentieri di neve che si inerpicano su vette di montagne. L’orizzonte è irregolare, o meglio, ha il profilo della tempesta, mutevole, ripido, sconquassato. Quest’oceano mi fa venire in mente un passo del V Canto dell’Inferno di Dante:

Io venni in loco d’ogne luce muto, 
che mugghia come fa mar per tempesta, 
se da contrari venti è combattuto.