Relitto del Polluce, un tripudio di monete d'oro

Enrico Cappelleti
Diciamo che è stato anche un po’ merito suo se l’evento “Raffaele Rubattino, un armatore genovese e l’Unità d’Italia nel secondo centenario della nascita” (Genova, Palazzo San Giorgio, 20 novembre 2010 – 30 aprile 2011)  ha potuto mettere in mostra un tripudio di monete d’oro e d’argento, il tesoro recuperato da un relitto divenuto famoso dopo il ritrovamento.  Merito di Enrico Cappelletti che con il suo (e di Gianluca Mirto)  libro “L’oro dell’Elba”, uscito nel 2004 per i tipi della Magenes di Milano stimolò la nascita di una sorta di consorzio capeggiato dalla Historic Diving Society che un anno dopo, nel 2005, riuscì a recuperare la gran parte del carico preziosissimo del Polluce, una delle prime navi  a vapore (e a ruote non a elica) a solcare il Mediterraneo, della Compagnia dei Pacchetti a Vapore Sardi di Rubattino e De Luchi affondata la notte del 17 giugno 1841 davanti Capo Liveri  (all’Elba, appunto) e che ancora giace alla profondità di  103 metri.


Concrezioni di “Columnados” spagnoli d’argento
Un water del Polluce


“L’oro dell’Elba” è il  primo libro-inchiesta di Cappelletti. Prima di questo, infatti, aveva dato alle stampe libri fotografici come Immagini in Immersione “Con una macchina fotografica e una pellicola in bianco e nero sott’acqua”, “Fotosub”e “Fotografare nel blu”: due manuali summa della grande cultura fotografica – segnatamente fotosubacquea – dell’autore. Il quale ha appreso tecnica dell’immersione alle Bahamas, dove faceva il croupier in un casinò, e della fotografia seguendo un corso universitario negli USA.
Smesso di distribuire carte e fiches Enrico per qualche tempo fa proprio il lavoratore del mare, sommozzatore professionista presso la SoilSub. È li che progetta e realizza un flash elettronico molto efficiente, articolo richiestissimo in quegli anni (’70)  Ma il suo amore per la ricerca storica, la sua curiosità, il suo istinto e le circostanze gli fanno cambiare mestiere: diventa giornalista, lavora per “Mondo sommerso”, per “Sesto continente”, crea il quindicinale “Blu, il giornale dell’idrospazio”, è caporedattore ad “Aqva”, cura la realizzazione di “Controcorrente”. Girando il mondo per realizzare reportage su viaggi e avventure sottomarine capita di immergersi  su qualche  relitto, fa parte del pacchetto offerto da parecchi touroperator e diving centre. A Bermuda ce ne sono 475, per tutti i gusti. Poi ci sono i relitti che fanno diventare ricchi  i loro scopritori,  per esempio la Girona, nave da guerra della Invencible Armada spagnola colata a picco nel 1588 davanti alle coste d’Irlanda, e il galeone Nuestra Señora de Atocha affondato nel 1622 al largo dell’Avana con nelle stive 47 tonnellate d’argento e 300 chilogrammi d’oro.
Correva il mese di ottobre dell’anno 2002 quando a Cappelletti capitò di leggere un “breve di cronaca”: la polizia del Regno Unito aveva restituito all’Italia “un ricco bottino in oro e gioielli che un gruppo di inglesi aveva illegalmente recuperato da una nave chiamata Pollux affondata  al largo dell’isola d’Elba alla metà del XIX secolo”. Quanto basta per suscitare l’interesse di Enrico. Il quale può contare sull’amicizia di Gianluca Mirto, “uno dei più accaniti ricercatori di informazioni storiche per il riconoscimento dei relitti”, che nel 1999 ha aperto sulla rete informatica il sito  www.relitti.it .
I due si mettono in caccia: “documenti, fotografie, leggende raccontate sull’isola, informazioni di prima e di seconda mano” tutto è utile a ricostruire la complessa vicenda del Polluce speronato a morte dal Mongibello, nave dell’omologa Compagnia dei Pacchebotti a Vapore del Regno delle Due Sicilie.
“L’oro dell’Elba” – sottotitolo: “Operazione Polluce”- è scritto e si legge come un romanzo d’avventure e come questo è avvincente e intrigante. Ma è a tutti gli effetti la puntuale cronaca giornalistica del recupero del tesoro trasportato dal vapore di Rubattino e la ricostruzione storica del contesto nel quale il sinistro avvenne. Un lavoro difficilissimo questo e non può ancora dirsi concluso. Rubattino fu molto coinvolto nel processo di unificazione dell’Italia sotto lo scettro dei Savoia. Nato nel 1810 (lo stesso anno di Cavour e di Ferdinando II re delle Due Sicilie) fu sicuramente testimone dello spaventoso sacco di Genova nel 1849 ad opera dei bersaglieri del generale La Marmora  fecero strage dei cittadini che – trent’anni dopo - ancora non avevano digerito l’annessione della Liguria al regno sardo-piemontese. L’armatore era un po’ l’arma segreta dei Savoia: una sua nave, Cagliari, nel 1857, trasportò Carlo Pisacane e i suoi trecento giovani e forti, che sbarcarono a Sapri convinti di scatenare una rivolta popolare contro il re Borbone ma finirono fatti a pezzi dai sudditi, molto più fedeli alla loro patria effettiva che a quella utopistica dell’ex ufficiale borbonico. Nel 1860 Rubattino mise a disposizione di Garibaldi i piroscafi Piemonte e Lombardo per trasportare i Mille fino in Sicilia. Ottimo investimento: “due decreti dittatoriali pubblicati nel giornale officiale di Napoli a dì 5 ottobre 1860 firmati dal solo Garibaldi in Caserta… col primo de' quali si assegnano 450 mila franchi alla detta Società Rubattino da pagarsi dalla Tesoreria di Napoli per rinfrancarla della semplice cattura del suo battello Cagliari servito per la generosa, quanto sfortunata impresa di Carlo Pisacane; e col secondo decreto  si assegnano alla stessa Società Rubattino altri 750 mila franchi, da pagarsi dalle Finanze di Napoli e di Sicilia, in compenso della perdita de' due suoi battelli il Lombardo, e il Piemonte, serviti alla prima e fausta spedizione di Sicilia; da conservarsi, e ripararsi in memoria della iniziativa del popolo italiano.”
Ma questa è un’altra storia.
Anzi: è l’altra storia, molto, ma molto diversa da quella che hanno propinato a tutti noi sui banchi di scuola.
Gaetano “Ninì” Cafiero
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