L'Oceano che muore: la testimonianza di Philippe Costeau Jr

Le parole di Philippe Costeau Jr dopo varie immersioni e avere visto la devastazione nel Golfo del Messico, in una intervista rilasciata recentemente a Alessandra Farkas del Corriere.it
“Mio nonno e mio padre sarebbero rabbrividiti di fronte alla marea nera”, racconta il 30enne erede della le
ggendaria dinastia di esploratori e oceanografi, di cui porta avanti il testimone attraverso Earth EchoInternational e Azure Worldwide, due organizzazioni non profit da lui fondate. Dall’inizio del più grave disastro ambientale della storia, l’ecologista franco-americano si è recato ben tre volte nella zona del disastro. “Ogni volta ho fotografato una situazione peggiore”, spiega, “non è affatto vero che abbiamo cominciato a risalire la china”. L’ottimismo della BP lo sconcerta. “Nella mia ultima immersione sono stato assalito da banchi di greggio a una profondità di 20 metri”, rivela Cousteau, “il petrolio non è più solo in superficie perché l’additivo chimico usato per scioglierlo ha seminato una vera e propria zuppa rossa tossica nei fondali, ancora più velenosa di quella di partenza”. Per tuffarsi è stato costretto a indossare una speciale tuta Hazmat stile astronauta: 

“Se non l’avessi fatto, sarei morto avvelenato”. Proprio come i tanti animali che ha cercato invano di soccorrere. “Aironi, sternidi, pellicani, tartarughe, tutti avvolti in un maleodorante e vischioso manto marrone cui nessuno, uomo o animale, riuscirebbe a sopravvivere”. L’ultima volta che si è calato nel cuore della macchia ha avuto paura. “Sono stato investito da violente raffiche di petrolio granulare simile a una pioggia di meteoriti. Quando sono riemerso, unto e scivoloso come il burro, ho dovuto sottopormi a una doccia depuratrice. Perché basta un residuo per contrarre orribili bruciature alla pelle”. La scoperta più desolante è arrivata nelle leggendarie paludi della Louisiana protette dalla Convenzione internazionale di Ramsar, habitat di uccelli acquatici e luogo di gestazione per tutti gli animali marini. “Ho raccolto secchi di petrolio, infiltratosi tra l’erba e le Mangrovie degli acquitrini – il 40% del totale Usa - che da millenni sono il vivaio degli oceani”.
“E’ come se avessero avvelenato il reparto maternità di tutti i grandi ospedali americani”, precisa, “milioni di gamberi, uccelli e pesci per colpa loro non vedranno mai la luce”. Eppure nell’utilizzare il solvente di dispersione, PB disse che serviva proprio a proteggere le paludi, impedendo al petrolio di raggiungere le Wetlands della Louisiana. “Il solvente inspessisce la macchia nera, scomponendola in tanti piccoli proiettili pesanti che affondano”, ribatte Cousteau, “Ciò ha creato un problema insormontabile per i pesci grandi e piccoli che nuotano nei fondali e per i batteri e le alghe di cui essi si nutrono”. Alla vigilia del suo nuovo viaggio nella regione, è pessimista. “E’ un dramma senza via d’uscita, mi creda”, sospira, “perché quelle bombe tossiche navigheranno, trasportate dalle correnti, fino alla notte del mondo. E in tutti gli oceani, non solo quelli americani”.