L’uomo pesce che vive a Posiliipo

Oggi in Libreria Claudio Ripa con Giulia D’Angelo
Oggi pomeriggio l’uomo pesce, Claudio Ripa,  accompagnato dalla sua compagna Eliana, come promesso ci ha fatto visita per partecipare al “thea party” tra amici, organizzato dalla libreria per salutarlo. Ora, per chiudere degnamente la serata, abbiamo l’occasione di proporvi un “pezzo” scritto dalla collega Alessandra Giordano apparso sul numero di aprile 2010 del mensile L’Isola. Ringraziamo il suo direttore, Roberto Gianani, per la gentile collaborazione.


I racconti di Claudio Ripa, subacqueo di fama mondiale. Le “discese” negli anni Cinquanta e Sessanta nelle profondità marine di tutto il mondo. Una passione ereditata dal padre che si immergeva nel mare di Mergellina.
 Le lotte con i pesci, le cernie dispettose, gli incontri inaspettati con i pescecani, i colori dei coralli, le stelle marine, l'ondeggiare sinuoso delle alghe e delle gorgonie. Ora c'è il satellite Google Earth a sondare i fondali marini.
19 gennaio 2011 Libreria Il Mare, Roma
Di certo in un'altra vita era un pesce, Claudio Ripa e, se poco poco crediamo nella reincarnazione, Claudio Ripa è senza dubbio l'uomo che vuole ritornare nel mare, da dove ha avuto origine. Claudio Ripa il mare lo possiede, lo trafigge, lo sonda e per certi versi, lo respira, immergendosi nei suoi abissi. E lo fa da sempre. Forse lo faceva anche prima di nascere, lui, classe 1933, perché il suo papà Pasquale era appassionato quanto lui, forse più di lui e già negli anni ’20 s'immergeva lungo le coste di Mergellina con mezzi di fortuna. E' normale, allora, che Claudio Ripa il mare ce l'abbia nel suo dna, e lo racconti. E ogni volta il suo raccontare è diverso, i particolari affascinano e s'ingigantiscono: l'insinuarsi nelle tane più impervie, le lotte con i pesci, le cernie dispettose, gli incontri inaspettati con i pescecani, i colori dei coralli. E poi le stelle marine, l'ondeggiare sinuoso delle alghe e delle gorgonie.
Con i figli Valentina e Roberto
Ora c'è Google Earth a sondare i fondali marini. Il satellite rielabora le immagini anche sotto la superficie marina: il laser va oltre i fondali, lasciando intravedere tutto, come in una radiografia fino alle fondamenta delle ville romane. Ma quando Claudio Ripa cominciò le prime perlustrazioni subacquee, tutto ciò non era neanche in mente dei. E forse il 'tuffo dove l'acqua è più blu' era più bello e romantica era la felicità incontenibile quando 'spolverando' uno scoglio o inseguendo una spigola, appariva una mano di una statua d'epoca romana o un intero vascello magari ripieno di lucerne!
E questo tuffo Claudio è capace di farlo sognare a chiunque si appresti ad ascoltarlo, ad ammirare le sue foto subacquee, i suoi filmati sorprendenti di avventure come quelle dei primi pionieri-sommozzatori. I ricordi di Claudio, campione del mondo e indiscusso protagonista della storia di questo sport, svelano le imprese delle apnee fin dagli anni ’50 e ’60, quando decise di dedicarsi all'agonismo primeggiando nelle più importanti competizioni nazionali e internazionali.
Con Carlo Gregoretti e un pesce napoleone 1963
È datato 1951 il suo primo titolo italiano di pesca in apnea. Cavaliere della Repubblica al merito sportivo, presidente nazionale delle commissioni archeologia fotografica e didattica della Federazione italiana pesca sportiva e attività subacquee del Coni, Claudio Ripa ha vinto due tridenti d'oro di cui uno alla carriera con Folco Quilici; e, ancora, svolge attività sportiva e professionale nel campo biologico, archeologico e geologico. Dal mare di Mergellina a quello delle Maldive passando per gli oceani di tutto il mondo: Claudio Ripa è una leggenda anche e soprattutto per i ritrovamenti più sensazionali della sua ricerca subacquea, quelli che hanno riportato alla luce del sole a Baia pregevolissimi pezzi archeologici consegnati immediatamente nelle mani della Sovrintendenza.
Con Folco Quilici, Ponza 2005
Incontro ravvicinato con lo squalo Sudan, 1962
Il suo obiettivo sapiente e intrigante riesce a catturare animali straordinari: rane pescatrici dalle buffe attività (vivono sotto la sabbia e con un ciuffetto all'estremità di un'antenna, tipo canna da pesca, attirano le prede), pesci sanpietro, scorfani, cernie mentre vengono nutrite dai subacquei che offrono loro succulenti sacchetti pieni di polipi; e giù, per grotte inesplorate a cercare seppie addomesticate, paguri bernardo, attinie, granseole, branchi di pesci dai nomi difficili, anemoni.
Spesso, però, il suo racconto s'incrina. Ed ecco che Claudio Ripa è pronto a denunciare quello che non va, le malefatte di quelli che lui stesso definisce i 'nemici del mare', quelli che distruggono gli scogli con i picconi alla ricerca dei datteri, coloro che usano il mare come pattumiera gettando i più svariati rifiuti, detriti di costruzioni, carcasse di auto e motorini. Addirittura relitti di aerei. Claudio Ripa denuncia i predoni del mare, coloro che 'rubano' le antichità sommerse della Campania, invece di operare a vantaggio della cultura e della scienza.
Vado a trovarlo a casa sua, a Posillipo, dove ogni angolo trabocca di libri rari, riviste, foto e cimeli e lo 'stimolo' a raccontarmi di qualcosa che non ha mai avuto il 'coraggio' di dire in pubblico. Solo un attimo di esitazione e poi è un torrente in piena: "Non mi fa molto onore, questo che mi è accaduto, ma è divertente: Anacapri, anni 70, moglie e figlia in villeggiatura, (c'era ancora solo Valentina, Roberto doveva ancora essere pensato, ndr), io andavo con un amico alla Grotta Verde, a pescare. Qui c'è un grottino, piccolo, situato a 15-16 metri di profondità.
Lavoro con il corallo, 1972
Vado giù, entro nella tana e vedo un lupicante, un astice enorme. Risalgo, prendo aria, ridiscendo. Guardo meglio ed esulto: ce n'era un altro a fianco grande come il primo! Saranno stati un chilo e mezzo ognuno! Che faccio? Ho pensato: se sparo il primo, l'altro scappa e io li voglio tutt'e due. Sono risalito e poi ridisceso pensando al da farsi, sempre in apnea. Mi faccio dare una torcia grande che però galleggiava. Allora lavoro per ancorarla di fronte alla tana, con una grossa pietra. Ma la torcia si girava per la corrente. Sono sceso e risalito una quindicina di volte per mettere a posto la torcia in maniera tale che illuminasse tutte e due i grossi lupicanti.
Sistemo il primo fucile. Risalgo, prendo un altro fucile e scendo di nuovo. Non so quante volte sono ancora sceso e poi risalito. Il primo fucile, tenuto con la sagola mi aiutava a 'tenere il segno'. Metto anche il secondo fucile in direzione dell'altro lupicante. E penso: quale mi conviene sparare per primo? Sempre salendo e scendendo ogni minuto, minuto e mezzo. Poi prendo la decisione di sparare contemporaneamente a tutt'e due. Sto attento, prendo la mira e zac! Li infilo tutt'e due. Bravo, mi dico. Trascino fuori dalla grotta per primo quello che si dibatteva di più, lo prendo per la testa e lo porto su in barca con tutto il fucile. Torno giù per prendere l'altro, lo tiro fuori e, con mio sommo disappunto, mi accorgo che il secondo lupicante altro non era che il guscio del primo che, a causa della naturale muta, aveva cambiato ‘pelle’". I crostacei, come le aragoste, le granseole, le cicale e, appunto, gli astici dopo qualche tempo e a seconda della crescita, escono dal loro guscio, diventato troppo piccolo, sfilandosi dall'apertura che hanno sul retro. Devono stare molto attenti che non ci siano predatori in giro. Dopo poche ore, il loro corpo, a contatto con l'acqua, s'indurisce, formando il nuovo guscio.
"Quel giorno ad Anacapri non ci avevo pensato e, per somma dello scuorno, questo si completa con un'altra storia: do a mia moglie l'astice per cucinarlo e se lo mangia tutto, capisci?, forse pensando che c'era l'altro, non lo so, ma non me ne ha lasciato neanche una briciola!".
Alla voce 'patella' si ferma, ha un sussulto. “La patella ha una caratteristica che non tutti sanno, neanche gente del mestiere - infierisce Claudio. -
 Quest'animale si attacca su uno scoglio, delimita il suo territorio e da lì non si muove. Nessun altro animale osa invadere la sua area, in pratica fa come i gatti!”. Un'altra pagina e ancora un ricordo: la Pecten Jacobaeus è quella conchiglia piatta che noi comuni mortali forse conosciamo col nome di Saint Jacques. “Ne avevo avuto regalato un sacchetto da un pescatore pugliese e andai a seminarle a Baia, fuori Punta Pennata. Tornando dopo due anni ne trovai a migliaia, il posto dove le avevo 'seminate' era pieno zeppo, si erano moltiplicate a dismisura e volavano letteralmente!
 Naturalmente le ho fotografate”.
L’oro rosso, Costiera 1957
Compirà 78 anni a luglio, Claudio Ripa, e continua ad andare sott'acqua. “Sto preparando una mostra di archeologia ‘personale’ a Castellammare di Stabia”. Claudio Ripa possiede circa 170 pezzi delle prime attrezzature subacquee costruite dal padre a partire dal 1928, molti dei quali sono stati esposti per alcuni anni ad Ustica. Maschere, pinne, torce e altri strani aggeggi. Il suo orgoglio è un fuciletto in canna di ferro fatta dal papà, con impugnatura alla gamba. Poi mi mostra un faro a tre lampadine, ma ce n'è anche uno a cinque, il cui portalampada è un imbuto, tagliato e assemblato ad un'asta di metallo: in pratica una torcia degli anni 50. Più in là, sempre a terra, sul pavimento, in un'insolita striscia di sole che entra dal balcone affacciato sul limoneto, una maschera del 1953, poi omologata dalla Cressi e quella straordinaria, di cui racconta sempre, ricavata da un pezzo di camera d'aria di un pneumatico, sagomata dal papà Pasquale, nel lontano 1945: un pezzo di ottone saldato intorno alla gomma nera e al vetro. Il tutto tenuto insieme con uno spago per rilegarlo, dall'esterno.
19 gennaio 2011 Libreria Il Mare, Roma
Questa primordiale maschera, scendendo in profondità si schiacciava dolorosamente contro il naso. "Per evitare l'inconveniente io ci soffiavo, pompavo dentro, e la rimettevo in posizione, senza sapere che, così facendo, compensavo! Ma quest’azione mi faceva consumare tantissima aria e poi c'erano giorni in cui, forse perché ero raffreddato e non in forma, non riuscivo più a staccare il vetro dal viso. Anche le pinne erano auto-costruite con tela mimetica e stecche di balena, prese da vecchi busti di mia nonna, che servivano ad irrigidire la pala. Ora esistono le pinne lunghe e performanti che ci avrebbero sicuramente facilitato".
Coppe, targhe, medaglie e coccarde dovunque, sugli scaffali, sui mobili, ai lati della scale. E per ognuno di questi riconoscimenti Claudio ricorda un particolare, il momento solenne, l’emozione della consegna. Claudio Ripa è tutto questo e molto, molto di più. E la leggenda continua.