Il canto del gigante degli abissi


Improvvisamente, dallo sterminato panorama degli scritti scientifici che popolano gli scaffali della  Libreria Il Mare, emerge Il soffio dell’organante, un racconto di fantasia, ma ispirato da persone e fatti esistenti e accaduti: ecologico e esattissimo dal punto di vista delle scienze naturali.
Nessuno mi toglie dalla testa che per questo libro, Antonio Di Natale, biologo marino, abbia tratto ispirazione dal racconto avvincente del grande capodoglio rimasto intrappolato“nella grande rete morbida” fluttuante abbandonata dalle parti di Strombolicchio che è stato pubblicato proprio ieri su questo stesso blog. Di Natale studioso di balene e capodogli ha scritto moltissimi lavori scientifici ed è membro di svariati Comitati Internazionali.
I cetacei “cantano”, lo sanno tutti. Ma che il canto del capodoglio dia piuttosto l’impressione d’un suono potente di organo suonato da uno Sviatoslav Richter lo sanno soltanto i siciliani. Che appunto per questo chiamano “organante” l’inquietante odontoceto. Fosse stato Andrea Camilleri l’autore di questo libro non lo avrebbe spiegato proprio per niente, visto e considerato che le sue storie del commissario 
Montalbano sono infarcite di espressioni in lingua sicula (quale, poi? Palermitana, catanese, nissena?). Ma queste “storie intorno a un capodoglio” (il sottotitolo) sono narrate da uno scienziato e dunque tutto ha una spiegazione. Un esempio: «I fondali dello Stretto, lungo la costa siciliana, erano chiari, con ampi gradoni, ma la madre si spostò lentamente verso il centro, dove passarono velocissimi sopra un paesaggio particolare. Mentre la corrente li aiutava a muoversi rapidamente, sotto di loro sfilarono ripide rocce, guglie altissime ricoperte da piccoli ventagli di “coralli” avorio3.» E la nota numero tre a pié di pagina precisa: “Si tratta, in effetti, dell’idrocorallo di profondità Errina aspera, che si trova solo in poche località del Mediterraneo e alle isole Azzorre in Atlantico. Il racconto prosegue: «Sulla sommità delle guglie c’erano grandi alghe brune piegate dalla corrente.» E la nota spiega: “La grande alga bruna Laminaria ochroleuca è una specie di origine atlantica, rimasta nello Stretto di Messina e in pochi altri siti del Mediterraneo centro-occidentale dopo l’ultimo periodo interglaciale. Può raggiungere la lunghezza di oltre 14 metri.” Sono cose che fanno piacere a noi che abbiamo dimestichezza con l’innerspace dove pratichiamo le nostre immersioni. Per noi della tribù delle rocce è meglio trovare in nota conferme a quel che già sapevamo e/o apprendere cose nuove, visto e considerato che l’espressione “le bombole di ossigeno” è diventata sinonimo di cronache subacquee scritte da chi subacqueo non è. E fa pure piacere – specialmente a chi ha conosciuto di persona quelle profondità – la descrizione tanto aderente alla realtà dello Stretto di Messina. Bene. Benissimo. E lo stesso vale per le note di traduzione simultanea: dalla parola singola (la nota 1 illustra i significati di Iddu) alla frase articolata: “Tri falanghi abbastanu, ma sunno sicchi! È mugghi chi ci mittemu ‘na picca i siu”. Alla faccia del grande Camilleri.
“Il soffio dell’organante” reca alla fine (e non al principio, come di solito avviene) un distico: Racconto breve di formazione alla biodiversità del mare e dei suoi musicanti all’amore per una Sicilia viva vera e cuciniera così come all’ecocompatibilità della pesca nell’anno duemiladieci Internazionale della Biodiversità.
Gaetano “Ninì” Cafiero