Il mensile
L’Isola dopo l’articolo su Claudio Ripa ci offre dal numero di dicembre un’altra ghiotta occasione: il racconto delle ultime novità a proposito de “
Lo Guarracino” scritte nel “
Pezzo”, con la
P maiuscola, del giornalista e scrittore, profondo conoscitore della realtà napoletana,
Maestro per molti di noi,
Vittorio Paliotti. E noi, scaltri librai, ne approfittiamo, aggiungiamo del nostro, proponendovi in aggiunta una piccola selezione di libri sull’argomento. Siamo sicuri che né Paliotti, né il direttore Gianani se ne avranno a male…
Ecco il sommario dell’articolo che leggerete tutto d’un fiato!
Biologi, naturalisti, esperti di fauna marina impegnati a identificare tutti i contendenti che si danno battaglia nella celebre canzone “Lo guarracino”. I tentativi di Benedetto Croce e Gino Doria. La codificazione di Roberto De Simone. Lo studioso Palombi ha individuato tutti gli 82 organismi citati nella tarantella e la biologa Gambi ha fornito l'esatta denominazione scientifica di ciascun pesce e mollusco.
Da oltre due secoli, da quando cioè divenne popolare, tiene impegnati, in dispute tutt'altro che scherzose, biologi, naturalisti e, soprattutto, esperti di fauna marina. Meglio sarebbe dire che dà filo da torcere agli scienziati. Quanti sono i pesci, i molluschi e in genere gli organismi marini citati, magari con nomi allegorici, nella celebre e antica canzone napoletana “Lo guarracino”?
Ed è possibile identificarli tutti restituendoli alla originale denominazione? L'ultima indagine venne eseguita una ventina di anni fa. I risultati furono pubblicati sul bollettino della Società Italiana di Biologia Marina. Ma già altri studiosi e altri appassionati sono al lavoro.
Primo esempio, forse, di autentica tarantella, “Lo Guarracino” fiorì a Napoli, da autori ignoti, sul finire del Settecento. La trama è quanto mai semplice. Deciso a mettere una pietra sul suo passato di scapolo e a trovarsi la degna compagna della sua vita, il pesce guarracino indossa i suoi migliori abiti e, occhio alla gonnella, va a zonzo per il fondo marino: “
Lo guarracino che jeva pe' mare - le venne voglia de se 'nzorare - se facette no bello vestito - de scarde de spine pulito pulito...”.
È una sardella con la “capa alla caunizza”, cioè pettinata come il principe di Kaunitz, ministro della regina Maria Teresa d'Austria, ad attrarre l'amorosa attenzione del giovane bellimbusto che, forse inesperto di approcci matrimoniali, prega una compiacente vavosa di fare da intermediaria, o ruffiana che dir si voglia. In una interminabile serie di strofe sono descritte le reazioni dei pesci presenti alla scena, nonché le varie fasi della battaglia finale, specie di guerra di Troia subacquea, promossa dal pesce “alletterato”, fidanzato in carica della sardella.
In nessuna altra canzone è stato mai rappresentato, come in questa, un fondo marino in agitazione con pesci e molluschi che se le danno di santa ragione.
Agili, eleganti ed esilaranti sono i versi de "Lo guarracino" mentre la musica, che pure si annuncia bene, essendo da ripetere moltissime volte, quanto il numero delle strofe, finisce, malgrado sia divertentissima, per esaurire chi canta e chi suona e per tramortire chi ascolta. Conosciuta in otto diverse stesure, la più nota delle quali risale al 1829 e fu avallata da Guglielmo Cottrau, “Lo guarracino” ha richiamato, effettivamente, l’attenzione di diversi studiosi, tutti interessati a ricostruirne la fisionomia e a precisarne la consistenza.
Il primo a porsi l'interrogativo circa il numero dei pesci menzionati fu, nel 1923, Benedetto Croce; e tuttavia il filosofo non riuscì a risolvere il rebus. Ci provò poi, nel 1933, lo storico Gino Doria, ma neppure lui seppe dare una risposta agli interrogativi: le difficoltà erano enormi e andavano dall'approfondimento della conoscenza della fauna marina alla ricerca di equivalenti in lingua italiana di termini napoletani arcaici.
Nel 1964 si accostò al problema anche il musicologo Roberto De Simone il quale, trascrivendo i versi declamati dal cantastorie Pasquale Jovine, codificò una versione del tutto insolita della canzone, dal momento che, nel finale, il pesce guarracino lascia perdere la sardella e conduce a nozze la vavosa, incurante del fatto che questa fosse stata messa incinta da un capitone. Pur confermando che nel golfo di Napoli ne potevano davvero succedere di belle, questa nuova versione della canzone lasciò aperti tutti i quesiti di carattere ittico.
La parola passò allora agli specialisti.
Nel 1982 un cattedratico, il professor Arturo Palombi, pubblicò uno studio in cui asseriva di essere pervenuto alla identificazione di “tutti gli 82 organismi citati nella canzone”. Un altro studio fu portato a termine nel 1990 dalla biologa Maria Cristina Gambi che ne diede conto nel notiziario ufficiale della Società di Biologia Marina: sosteneva di essere arrivata a identificare “51 organismi dei 72 citati nella canzone”.
La biologa fornì inoltre l'esatta denominazione scientifica di ciascun pesce o mollusco, la sua denominazione latina e la determinazione della famiglia e della specie. E non è tutto: la lettura della canzone aveva consentito alla dottoressa di identificare i metodi di pesca usati a Napoli nel Settecento, nonché il grado di ricchezza ittica che, a quell'epoca, connotava il golfo. “Tra i molluschi”, annotò la Gambi, “troviamo le specie più comuni anche oggi largamente usate, come vongole veraci, cannolicchi, cuori, spondili e murici, nonché, fra i cefalopodi, i classici polpi, seppie e calamari”. Tenne a chiarire, la biologa, che il
guarracino non è altro che la castagnola nera, “
Chromis chromis” latinamente parlando: appartiene alla famiglia dei pomacentridi i quali, a loro volta, stanno negli osteitti.
La Gambi tradusse inoltre come foca monaca il “voie marino”, come sogliola la “palaia”, come sgombri gli “scurme” e come tordi le “malvizze”.
Lo guarracino era stato considerato, nel Settecento, come la vera autentica tarantella nazionale. Nessuno pensò mai, a quei tempi, che la canzone avrebbe suscitato, nei secoli successivi, tante diatribe.
Era piuttosto quella battaglia finale, disputata da nugoli di pesci su un fondale marino, che incantava ed esaltava; forse gli ascoltatori pregustavano perfino i sapori di tanta grazia di Dio trasformata in una zuppa.
Nel succedersi delle generazioni,
Lo guarracino attrasse personaggi illustri. Maria Malibran, la più celebre cantante lirica dell'Ottocento, che aveva dimestichezza con Rossini e con Bellini, se ne lasciò letteralmente sedurre. Spagnola di origine, francese di adozione, cosmopolita per attitudine, Maria Malibran aveva trascorso l'infanzia a Napoli e ne conosceva perfettamente il dialetto. Bene: nel 1828 Maria Malibran, ch'era anche musicista e poetessa, pubblicò, presso l'editore Eugène Troupenas di Parigi, una tarantella in dialetto napoletano dal titolo "No cchiù lo guarracino". Sostanzialmente polemica con la canzone da cui derivava, “No cchiù lo guarracino” venne ristampata, a Napoli, dall'editore Girard.
Ha avuto anche delle traduzioni,
Lo guarracino. In lingua tedesca, prima di tutto, ad opera, nel 1838, del poeta-pittore Augusto Kopisch, il noto “scopritore” della Grotta Azzurra di Capri. E, buon’ultima, nel 1991, in lingua italiana per merito del napoletanissimo Riccardo Pazzaglia: “Al guarracino che andava per mare – venne la voglia e si volle sposare ...”
Vittorio Paliotti